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INTERNAZIONALE a Ferrara supera le 70mila presenze

INTERNAZIONALE a Ferrara supera le 70mila presenze

Una rassegna che conferma che la peggiore censura è l'ignoranza, la convinzione di sapere abbastanza, l'approssimazione del giudizio

Lunedi, 03/10/2016 -
Oltre ai numeri - 71mila presenze - quel che contraddistingue Internazionale, di cui si è tenuta a Ferrara, da venerdì 30 settembre a domenica 2 ottobre, la decima edizione, è la qualità delle stesse. Che la dice lunga su quanto erroneamente si dipinga questo Paese come ormai alla frutta, stanco, lì per lì per implodere od esplodere, con nuove generazioni demotivate o addirittura rassegnate. Il successo della rassegna, organizzata dall'omonimo settimanale in collaborazione con il Comune e l'Arci nazionale, con un altissimo livello di temi e relatori, e circa 200 appuntamenti in ogni contenitore e angolo della città, ha confermato semmai il contrario. I giovani c'erano, eccome, ed erano interessati. Bastava un occhio alle lunghissime file per riscontrarlo. Ragazzi del futuro, per usare le parole di Paola Deffendi, mamma di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto. Uomini e donne contemporanei per cui il mondo è un 'luogo' senza confini, da visitare, capire, in cui vivere. E talvolta da sfidare. Al giornalista e attivista egiziano Hossam Baghdat, proprio i genitori di Giulio - Paola Deffendi e Claudio Regeni - hanno consegnato il premio per il giornalismo d'inchiesta dedicato ad Anna Politkovskaja. Tre giorni intensi, questo è stato Internazionale, per sviscerare quei diritti universali di cui le guerre in corso, siano esse di religione o per una sporta di prugne, denotano la carenza, insieme alla perdita progressiva della libertà. Il globo è stato messo sotto la lente di ingrandimento sfruttando la multidisciplinarietà, quindi dibattiti, proiezioni documentari, presentazione di libri. Tantissimi i temi affrontati. Per citarne alcuni, privacy, famiglia, maternità, migrazione. Sul fronte della privacy, partendo dalla privatizzazione in corso di Internet - concepito come una infrastruttura da governare (chi?) e regolamentare (come?) - il confronto tra Evgeny Morozov e Paul Mason, moderato da Pierfrancesco Romano, si è snodato sui pericoli verso cui ciascuno di noi, come cittadino, rischia di andare. Uno su tutti, la perdita della privacy, concepita ormai non è più come un diritto, anzi il diritto dei diritti, ma come un servizio. Motivo per cui, se oggi siamo presenti in moltissime banche dati indispensabili per il business di colossi che ci presidiano acquisto dopo acquisto, per 'scomparire' dovremo a breve ricorrere, per lo stesso principio, ad aziende anch'esse sul mercato. Con toni leggeri e modello talk show, Claudio Rossi Marcelli ha portato sul palco, in una sorta di gioco delle coppie, i colleghi di redazione Chiara Nielsen, Annalisa Camilli e Daniele Cassandro, per parlare con loro delle famiglie senza figli e del diritto alla non maternità. Ancora un tabù? In parte sì, perché l'orologio biologico - di cui si chiede conto alle donne, mai agli uomini - certe volte non scatta, e non è peccato. Non lo si sente all'interno, ma solo all'esterno, come pressione sociale. Anche se oggi, finalmente, c'è la possibilità non tanto di ribellarsi quanto di alzare le spalle. Perché se rimpianto può essere non avere concepito, nessuna è immune dal rimpianto di averlo fatto. Uno studio compiuto in Israele conferma infatti che molte donne tra i 25 e i 75 anni, potendo tornare indietro, non si riprodurrebbero. Ammettono di non avere la vocazione alla maternità, ma di amare moltissimo i figli. Quasi separare l'oggetto dall'esperienza, come ha rilevato Nielsen, fosse una strada per non sentirsi dei mostri. Di maternità a tutti i costi, o comunque al limite, ha trattato Futur Baby, documentario su procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata. Novanta minuti di interviste a pazienti, donatori, aspiranti genitori, ricercatori, medici, sociologi, tra Europa e America. Un percorso tra diagnosi, provette, celle frigo per il congelamento di embrioni. Tra desiderio di genitorialità da una parte e desiderio di donare dall'altra. Il tutto in bilico tra gratuità e indennizzo, accettazione dei propri limiti fisici e potere della scienza.

Di rispetto della vita e del corpo si è parlato durante la presentazione, in anteprima nazionale, con Daria Bignardi, di Lacrime di Sale (Mondadori), di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che del soccorso ai migranti ha fatto la sua missione. Seguito ideale di Fuocoammare, di Gianfranco Rosi, vincitore dell'Orso d'oro di Berlino, il testo, scritto con la giornalista Rai, Lidia Tilotta, narra la sua storia e le storie di chi per scappare da guerra e torture sbarca nell'isola che «fino a vent'anni fa non era neppure sulle cartine geografiche». Seppure con tono pacato, Bartolo non ha risparmiato giudizi 'politici' contro chi grida all'invasione «in una Europa vecchia, rimbambita. Parliamo di numeri irrisori in un continente in cui non nascono più bambini, in cui il problema è la denatalità. E poi c'è chi fa campagne sulla fertilità..». Bartolo ha ammesso la sua paura, che prova ogni volta che si appresta a eseguire le cosiddette ispezioni cadaveriche, «per restituire identità a quei corpi, come è giusto che sia, per una questione di civiltà»; ogni volta che deve aprire quei sacchi che sono verdi, neri o blu a seconda che a consegnarli siano Guardia di Finanza, Capitaneria di Porto, Carabinieri. Quelli in cui una volta c'era una giovane donna data per morta. Lui, dal polso, ha sentito un tenue battito ed è stata salvata. Ma ai volti dei bimbi, delle donne ustionate dalla miscela di benzina e acqua di mare tipica dei gommoni, non ci si abitua e neppure si deve farlo. Agli sfoghi delle giovani violentate durante le traversate, che arrivano incinte, che vogliono abortire perché quel che portano in grembo non è il frutto di una relazione d'amore, non si fa il callo. «Eppure io ascolto, perché come spiego ai miei collaboratori, il primo contatto non deve essere sanitario, ma umano, perché là hanno lasciato l'inferno». Per usare le parole di Bartolo, chi ha presenziato a Internazionale non è chi erge i muri e mette il filo spinato. E questo, tutto sommato, fa davvero sperare e conferma che la peggiore censura è l'ignoranza, la convinzione di sapere abbastanza, l'approssimazione del giudizio

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