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Il narciso della porta accanto

Il narciso della porta accanto

Versione Santippe - Chissà perché se sei addolorata per fatti tuoi ma non hai voglia di parlare, di alzare il telefono, la gente pensa che sei in crisi...

Camilla Ghedini Domenica, 05/07/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2015

 Chissà perché se sei addolorata per fatti tuoi ma non hai voglia di parlare, di alzare il telefono, la gente pensa che sei in crisi, ti immagina disperata, bisognosa di un aiuto che non manifesti. E allora si prodiga coi 'parlami', 'non chiuderti in te stessa' e via discorrendo, che hanno come unico effetto quello di infastidire e allontanare. Chissà perché certe persone si aspettano che vomiti i tuoi sentimenti, 'così finalmente ti liberi'. Proprio con loro poi. Mica con chi scegli tu. Ci ho pensato e ho trovato la risposta. La non condivisione della nostra sofferenza spesso nuoce all'idea che gli altri hanno di sé stessi. Perché? Perché se li escludiamo, non li rendiamo partecipi, anzi.... protagonisti. Se li escludiamo, non li rendiamo depositari della nostra intimità e 'beneficiari' dell'esclusività. Il punto, quindi, non è quanto patiamo noi, a modo nostro, per le nostre vicissitudini. Ma quanto patiscono gli altri, per il modo nostro di affrontare le nostre stesse vicissitudini. Se in un momento difficile della nostra esistenza ce ne stiamo tranquilli, senza esasperazioni, senza mostrarci con le vesciche sotto agli occhi, senza imprecare contro la malasorte, senza ammorbare il prossimo, facciamo un danno all'altrui narcisismo. Perché? Perché togliamo agli altri la possibilità di salvarci! Di salvarci rivelandoci cosa è giusto per noi, perché loro ci sono sicuramente passati per un'esperienza simile, perché loro al nostro posto farebbero..., perché tu sei fragile.. povera... Questa è l'acquisizione vera della maturità. Che la ricerca della solitudine indispettisce gli altri, gli stessi che in svariate occasioni hanno dato il voto ai tuoi dispiaceri, spesso sminuendoli. I passaggi sono tre. In adolescenza ogni dramma è vissuto come partecipazione e amicizia, e quindi va benissimo, perché è propedeutico al senso di reciprocità. Da 'grande' ci si accorge che è più facile condividere il negativo, perché sostenere chi è in difficoltà fa sentire migliori. Partecipare di gioie e soddisfazioni, al contrario, fa spesso emergere invidie...se si resiste però il legame è solido ed eterno. Poi c'è la maturità, dove ormai quel che è fatto è fatto, quel che si è costruito si è costruito, si gestisce la propria emotività in autonomia, eppure spunta chi ha bisogno delle tue sfighe per misurare se stesso. Perché vuole essere l'amica o amico delle tre B: buono/a, bravo/a, bello/a. E così, mentre tu lecchi le tue ferite, vivi la tua quotidianità con persone che ti sanno aiutare senza esplicita richiesta, addirittura ridi - perché ridere nulla toglie al dolore - , quindi vai avanti aspettando nuovi equilibri, cercando il tuo nuovo contesto nel mondo, offendi chi da sempre sa cosa è giusto per te! Bella roba! Io penso che l'amicizia vera sia quella capace di stare fuori dalla porta. Di stare sospesa. Penso che gli amici veri siano quelli che mentre soffri come un cane e non vuoi parlare, si limitano a invitarti a mangiare un gelato e ti chiedono se hai dormito. Ci sono con discorsi ordinari, sapendo che arriverà il giorno in cui quelli difficili e speciali li farai, ma coi tuoi tempi, magari un po' alla volta. Perché se non hai la voglia o la forza di piangere, non offendi nessuno. Al massimo pecchi di 'lesa maestà'. Per chi maestà si sente.

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