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Il lavoro nel XXI secolo: soffitti di cristallo e pavimenti appiccicosi - di Federica Gentile

Il lavoro nel XXI secolo: soffitti di cristallo e pavimenti appiccicosi - di Federica Gentile

Qualità e quantità del lavoro tra delocalizzazione e progressi tecnologici (Ladynomics)

Martedi, 22/10/2019 - Il lavoro è poco, e quello che c’è è di qualità discutibile: la ricerca Trends in Job Quality in Europe riporta che il 29% dei posti di lavoro nella UE sono poco bilanciati ed il 20% sono posti di lavoro di scarsa qualità. Inoltre, nella maggior parte dei paesi europei negli ultimi anni c’è stato un incremento dell’intensità del lavoro (intesa come maggiore carico di richieste per le lavoratrici e lavoratori) che si traduce tra le altre cose in un alto livello di stress con conseguenze negative sulla salute ed il benessere di lavoratori e lavoratrici. Niente di cui non ci si accorga nella nostra vita quotidiana; c’è infatti chi sostiene che il lavoro ai tempi del neoliberismo abbia tirato fuori il peggio di noi.

La scarsa qualità del lavoro non è neppure controbilanciata dalla sicurezza lavorativa: nel giro di una generazione la sicurezza del posto di lavoro è diminuita notevolmente. Perché?

L’economia, la globalizzazione, ed i progressi tecnologici hanno favorito la delocalizzazione della produzione, in paesi dove ci sono meno garanzie, creando una situazione di insicurezza che ha eroso i diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici. Più donne lavorano grazie anche alla globalizzazione, dirà qualcuno: certo, ma chissà come mai oggi si parla di femminilizzazione del lavoro come sinonimo di lavoro pagato poco ed insicuro, per tutti, uomini e donne.

In un interessante articolo intitolato eloquentemente Se puede ser pobre teniendo múltiples empleos de mierda l’economista femminista Amaia Perez Orozco, sottolinea che anche se la precarietà lavorativa riguarda sia uomini che donne, le donne sono vittime del cosiddetto ”pavimento appiccicoso” per cui più degli uomini faticano a lasciare lavori temporanei, poco qualificati, caratterizzati da cattive condizioni lavorative, e soprattutto, mal remunerati. La terza indagine sul lavoro condotta dall’ISFOL nel 2013 conferma questa tendenza: le donne italiane sono più spesso relegate in posti di lavoro caratterizzati da contratti precari, minore retribuzione e maggiore instabilità. Insomma, qualcuna ce la farà anche ad arrivare a intravvedere – e magari anche a incrinare – il soffitto di cristallo, ma sotto al soffitto ci sono uomini e donne che pur lavorando non ce la fanno ad avere una vita decente – e non solo dal punto di vista economico.

In un articolo apparso sul il Lavoro Culturale, si discuteva del fatto che non si parla più del lavoro in termini di un’attività che non solo fornisce un reddito, ma che permette di crescere ed imparare. Osservazione legittima, ma che al momento attuale in cui l’imperativo è “si salvi chi può” pare una fantasia sfrenata. D’altra parte il Gender Equality Index dell’EIGE per il 2019 indica che in Italia solo il 13% degli uomini e delle donne sono impegnati/e in percorsi di formazione permanente; si tratta del settimo tasso piu’ basso in tutta la UE.

Passando dal generale deterioramento del lavoro diciamo “classico” al lavoro tradizionalmente invisibile di cura e domestico, Amaia Perez Orozco rileva che oggi si passa molto più tempo a sostituire prodotti e servizi una volta offerti dallo stato con una “produzione” familiare .

Il taglio dei servizi di welfare ha ulteriormente privatizzato la cura di bambini e persone anziane, e sono le donne che tendono, di riffa o di riffa, a occuparsi di più della sfera domestica.

Se guardiamo alla variabile “Tempo” del Gender Equality Index, l’80% delle donne italiane è impegnata per un’ora o più al giorno nel lavoro domestico, a fronte del 20% degli uomini. Inoltre, solo il 23% delle donne riesce a dedicarsi regolarmente ad un’attività di piacere (contro il 28% degli uomini), mentre per quanto riguarda il volontariato la percentuale di donne è maggiore rispetto agli uomini (13% e 11%).

Leggendo questo dato viene da chiedersi quale possano essere le conseguenze di una mancata possibilità di partecipazione alla vita politica e culturale di un paese perché si è troppo impegnati a svolgere uno o più lavori per stare a galla. Quali sono le voci, i bisogni e gli interessi che vengono espressi? Solo quelli di chi ha tempo e una certa tranquillità economica?

Tra pavimenti appiccicosi e soffitti di cristallo, la situazione non è particolarmente rosea: non a caso, per la variabile “Lavoro” dell’EIGE, l’Italia è all’ultimo posto in Europa.

Articolo di Federica Gentile pubblicato il 21 ottobre 2019 in Ladynomics

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