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Il buon medico non obietta

Il buon medico non obietta

Evento conclusivo a Roma della campagna promossa dalla Consulta di Bioetica

Martedi, 01/07/2014 -
In principio era la 194, straordinaria legge figlia del femminismo anni ’70, concepita in modo tale che la volontà (e il sentire) della donna rispetto alla scelta di avere o meno un figlio possa avere maggior peso dei diritti di un essere che ancora non è nato. Per questa semplice ragione, tanti negli anni sono stati gli attacchi e le ingiurie contro donne e medici assassini, macchiati di una colpa grave, quella favorire l’autodeterminazione delle donne ai diritti dell’embrione. La legge dopo trentasei anni è ancora lì, anche se l’effettività del diritto della donna di praticare l’aborto volontario e quello terapeutico negli anni si sono andate assottigliando. L’articolo 9 della legge prevede l’obiezione di coscienza e negli ultimi anni i medici che si sono appellati a questa possibilità sono diventati il 69,7% (dati 2011 del Ministero della Salute), con punte ben al di sopra di questo dato in alcune regioni. In aumento anche il numero degli obiettori tra gli anestesisti e il personale sanitario. Questa crescente, e preoccupante, morsa sull’applicabilità della legge ha mobilitato medici e organismi, come la Consulta di Bioetica da tre anni porta avanti la campagna “Il buon medico non obietta”, per tenere alta l’attenzione e la sensibilità sul diritto all’aborto e permettere il confronto tra specialisti e società civile. Ieri a Roma l’evento conclusivo di quest’anno, a partire da due novità positive che potrebbero far sperare in un’inversione di tendenza.

 

La prima è la decisione del Comitato dei diritti sociali del Consiglio D’Europa di accettare il ricorso n.87 del 2012 presentato dall’International Planned Parenthood Federation – European Network (IPPF EN) che denunciava la mancata applicazione della legge 194 a causa del numero crescente di obiettori in tutta la penisola. Della decisione del Comitato, ne ha parlato ieri la dott.ssa Marilisa D'Amico dell’Università di Milano, che ha seguito in prima persona l’iter del ricorso fino allo scorso marzo. Contro le duemila pagine di dati e storie raccolte dall’organizzazione grazie al lavoro di associazioni come LAIGA e di tanti medici, il Governo italiano non ha mai presentato nessun dossier di smentita. E pur essendo stato informato come accade normalmente in questi casi, della decisione del Comitato sei mesi prima che venga resa nota coram populo, anche in questo caso (cioè nel periodo settembre 2013-marzo 2014) non ha fatto nulla, se non dichiarare dopo la diffusione dell'esito a mezzo stampa, che avrebbe provveduto a presentare dati che descrivevano una situazione differente. Il Comitato dal canto suo, analizzando il dossier presentato dall’International Planned Parenthood Federation e non avendo altri elementi di giudizio, ha ritenuto che l’interpretazione ampia dell’obiezione di coscienza prevista come ricordato dall’articolo 9 della legge 194, violi l’articolo 11 della Carta Sociale Europea che sancisce il diritto alla salute, e anche il diritto alla non-discriminazione perchè le donne in Italia avrebbero più o meno accesso all’aborto in base alla posizione economica o alla posizione geografica. Il Governo, a questo punto, dovrebbe prendere atto della decisione e operare dei cambiamenti, in vista del rapporto del prossimo anno (il Comitato verifica annualmente in ogni stato il rispetto della Carta sociale europea, ndr).



Ed è forse in questo senso che è arrivata la seconda novità: la decisione del governatore della regione Lazio Nicola Zingaretti di impedire, attraverso un decreto da lui firmato, ai ginecologi che lavorano nei consultori di appellarsi all'obiezione di coscienza anche per scrivere il certificato di richiesta di interruzione volontaria di gravidanza. Così si legge nel provvedimento: «In merito all'esercizio dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi, si ribadisce come questa riguardi l'attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell'interruzione volontaria di gravidanza. Al riguardo, si sottolinea che il personale operante nel consultorio familiare non è coinvolto direttamente nell'effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta inoltrata dalla donna di effettuare Ivg».



Un passo importante in una regione in cui il numero dei medici obiettori è particolarmente alto, sforando il 90% del totale. Un plauso generale durante il convegno da parte di tutti i relatori a questo provvedimento, in linea con la decisione del Comitato dei diritti sociali e a sostegno della legge 194, di cui la dott.ssa Maura Cossutta - che fa parte di Se non ora quando Sanità e tra le relatrici dell'incontro di ieri - ha ricordato la matrice femminista e laica. "Il diritto alla salute è un diritto sessuato, diverso per uomini e donne. E' importante che i ragazzi e le ragazze che si apprestano a diventare ginecologi e ginecologhe si ricordino di questo dato." Il nodo non sta soltanto nell'anatomia o nel corredo biologico, ma nella significazione culturale che ha assunto questa differenza. Non è un caso se la cultura patriarcale si è imposta proprio a partire dal possesso del corpo della donna come proprietà maschile. E ancora oggi, a diverse latitudini e in modalità differenti, si combattono sanguinose battaglie sui corpi delle donne. Dagli stupri etnici alle violenze di gruppo, dai matrimoni forzati e prematuri al ricorso di massa dell'obiezione di coscienza, tutto fa pensare che la piena liberazione della donna sia un processo ancora in corso. 

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