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Gli stupri di guerra: il più grande silenzio della storia - di Simona La Rocca

Gli stupri di guerra: il più grande silenzio della storia - di Simona La Rocca

Gli stupri di guerra e le violenze sessuali nei conflitti rappresentano la peggiore vergogna della storia

Venerdi, 02/10/2020 - Gli stupri di guerra: il più grande silenzio della storia
di Simona La Rocca
Articolo pubblicato in Mosaico di pace (2020)

The history greatest silence. Gli stupri di guerra e le violenze sessuali nei conflitti rappresentano la peggiore vergogna della storia, la più occultata. Ieri come oggi, donne, bambini e uomini sono costretti a subire abusi e violenze di inaudita crudeltà. Dal Rapporto Conflict Barometer 2020 dell’HIIK, nel 2019 sono 358 i paesi con guerre a elevata intensità con una flessione rispetto al numero ma non alla gravità. Ciascuna crisi causa persecuzioni, violenze, distruzioni ed esodi forzati. Sono 70,8 milioni le persone in fuga da guerre e persecuzioni alla fine del 2018 (Global Trends 2019 dell’UNHCR), di queste, circa 25,9 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni. Caratteristica dei conflitti moderni è il coinvolgimento massiccio dei civili, circa il 75/80% della popolazione, di questi un terzo delle persone vittime sono bambini. Dei conflitti conosciamo poco, o nulla; eppure, molti di questi si protraggono per anni:Yemen, Siria, Nigeria, Mali, Darfur, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Birmania. Il lato più ‘oscuro’ dei conflitti armati è quello degli stupri di massa e delle violenze di genere compiute a danno della popolazione civile, per alcuni un evento ‘ineludibile’, ‘normale’ nelle guerre. Nei conflitti il corpo delle donne diviene il campo di battaglia, il terreno sul quale si combatte; l’uso simbolico del corpo per offendere, umiliare; una tattica, pianificata strategicamente e utilizzata come arma, strumento di affermazione, controllo, comunicazione del potere e prevaricazione maschile; l’obiettivo è quello di terrorizzare, mortificare, assoggettare e annientare le singole donne o bambine, violandone i corpi,infliggendo in questo modo il massimo del danno alla comunità o al gruppo di appartenenza; è accaduto e accade, ad es., nella ex Yugoslavia, in Rwanda, in Palestina, in Siria, in America latina, nelle Filippine, in Cecenia come in Ucraina. Gli stupri di massa e le violenze sessuali nei conflitti armati interessano tutti i paesi del mondo e tra le persone vittime ci sono donne, uomini e bambini di ambo i sessi; tuttavia, sono dirette per lo più, in modo sproporzionato,verso il genere femminile (donne e bambine), come evidenziato dalla Convenzione di Istanbul del 2011 e dalle Raccomandazione n. 19 e 35 della CEDAW; tali violenze, in molti casi, sono il risultato di un’esacerbata ineguaglianza di genere e squilibrio di potere presente nella società prima delle ostilità che si rafforza durante e dopo il conflitto (es. Yemen e Ucraina). Lo stupro e le violenze sessuali sono impiegate come armi anche dai gruppi terroristi (Boko haram, Al shabaab); dai regimi contro gli oppositori politici per limitare i movimenti di protesta, da Videla in Argentina, alle violenze e abusi durante e dopo la cd ‘primavera araba’, alle violenze in Palestina, Siria, Burundi come in Ucraina ed in Egitto per mettere a tacere giornalisti, attivisti dei diritti umani e di rivendicazione dei diritti delle donne; nonché utilizzate per terrorizzare allo scopo di cacciare gruppi minoritari come per i Rohingya in Birmania. Le violenze di genere, durante e dopo i conflitti, possono assumere diverse modalità quali, ad es.: stupri di massa e violenze sessuali, tratta di donne, riduzione in schiavitù a scopo di sfruttamento sessuale, violenza domestica, matrimoni forzati e spose bambine (es. Sierra Leone e Niger). Benché, già nei primi del Novecento vi fossero delle disposizioni che avrebbero permesso di perseguire le violenze sessuali compiute negli anni successivi - ad es. il Belgium Humiliation durante la I GM e le cosiddette ‘marocchinate e le meno note ‘mongolate’ avvenute in Italia con la II GM-, queste rimasero pressoché impunite per mancanza di volontà da parte degli Stati. La disciplina del crimine di stupro nell'ambito del diritto internazionale è andata evolvendosi soltanto nel corso degli ultimi decenni; gli orrori avvenuti durante i conflitti nell'ex Jugoslavia prima, e nel Rwanda poi, nonché i movimenti delle donne spinsero la Comunità Internazionale a riconoscere lo stupro quale fattispecie costitutiva dei crimini di diritto internazionale; nel 1993, lo Statuto del Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia (ICTY), incluse lo stupro – e successivamente anche la schiavitù sessuale - tra i crimini contro l’umanità; nel 1994, lo Statuto del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (ICTR) riconobbe lo stupro come crimine di guerra e crimine contro l’umanità, nonché atti di genocidio nella misura in cui sono commessi intenzionalmente per distruggere, in tutto o in parte una comunità (caso Akayesu). Dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, del 2002, i crimini di natura sessuale sono inclusi nelle categorie di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio. Nel 2000 il Consiglio di Sicurezza Onu adotta la risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza; la ris., cd madre, riconosce esplicitamente l’impatto dei conflitti armati sulle donne, evidenzia il loro ruolo nella risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace, nonché delinea una serie di obiettivi da raggiungere mediante il paradigma delle 3 “P” ossia prevenzione, partecipazione e protezione delle donne. L’Agenda “donne, pace e sicurezza” è formata da altre nove risoluzioni che ne costituiscono il corpus normativo; la 1820 (2008), orientata alla prevenzione e al perseguimento delle violenze, riconosce per la prima volta lo stupro quale strumento di umiliazione e tattica di guerra che può esacerbare i conflitti costituendo una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale; con la ris. 1888 (2009) si prevede la nomina di un/a rappresentante speciale sulla violenza sessuale durante i conflitti armati (SRSG) e nello stesso anno (ris. 1889) si individuano indicatori atti a misurare l’implementazione delle disposizioni; nella ris.1960(2010) gli Stati sono sollecitati a prevenire le violenze mediante ordini precisi alle catene di comando e l’imposizione di codici di condotta, nonché a perseguire i responsabili delle violenze; le ris. del 2013 sono incentrate sulla lotta all’impunità di questi crimini (ris. 2106) ribadendo la necessità di rafforzare i meccanismi di accountability e le misure che prevedono la partecipazione delle donne alle fasi di prevenzione e risoluzione del conflitto, come pure l’obbligo di riservare alle stesse seggi ai tavoli di pace (ris. 2122); la ris. 2245 (2015) plaude al maggior numero di donne impiegate nelle missioni Onu ma al contempo sottolinea la necessità di garantire la persecuzione dei crimini commessi dai contingenti militari impiegati nelle stesse missioni; nel 2019, a seguito del rapporto annuale del Segretario generale Onu (S/2019/280), il Consiglio di sicurezza adotta la ris. 2467 che, oltre ad evidenziare la difficoltà degli equilibri politici, sottolinea la condizione dei sopravvissuti alle violenze sollecitando gli Stati a facilitare l’accesso alla giustizia. Infine, in occasione degli open debates di ottobre è stata adottata la ris., 2493 (2019) che oltre a richiamare la Relazione del Segretario generale Onu (S/2015/716) pone l’accento sull’urgenza di garantire una partecipazione delle donne che sia più inclusiva possibile - full, equal and meaningful - ai processi di pace e ai tavoli negoziali sin dall’inizio dei conflitti, nonché di favorire l’attuazione degli impegni assunti con la prima risoluzione e le cd 3 “P” mediante la nomina di gender advisere protection adviser da impiegare principalmente durante le missioni Onu. A vent’anni dall’adozione della ris. 1325e a dieci dall’istituzione del mandato della SRSG, sono stati fatti importanti passi avanti, ma sono ancora troppe le zone d’ombra; in particolare, il risarcimento alle vittime è un’eccezione e poche sono le condanne dei responsabili delle violenze a tutti i livelli. E’ necessaria su questa tematica una nuova mobilitazione della società civile,giacché senza giustizia né uguaglianza non ci può essere vera pace.


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