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Festival Cinemambiente di Torino, 26ma edizione

Festival Cinemambiente di Torino, 26ma edizione

Organizzato dal Museo Nazionale del Cinema e diretto da Gaetano Capizzi, ha offerto una panoramica completa sugli eventi provocati dal cambiamento climatico e dall’inquinamento

Mercoledi, 21/06/2023 - Il 26°Festival di CinemAmbiente di Torino www.festivalcinemambiente.it, organizzato dal Museo Nazionale del Cinema diretto da Gaetano Capizzi, ha offerto una panoramica completa sugli eventi provocati dal cambiamento climatico e dall’inquinamento di questo sistema energetico in ogni parte della terra, dai luoghi più sperduti e dimenticati delle foreste russe della Siberia, alle zone più sconosciute della foresta amazzonica, dell’Africa, dell’India e del Perù fino ai luoghi più conosciuti o che si crede di conoscere ma che riservano molte sorprese, Roma, New York, Istanbul, le Hawai, il Texas, la Danimarca, la Finlandia. Una carrellata impressionante di eventi drammatici raccontati da documentariste/i, registe/i che hanno dedicato anche diversi anni per far conoscere gli eventi tragici che sempre più di frequente interessano ampi ecosistemi e le popolazioni che li abitano da cui, come ricostruendo un puzzle, si ricava lo stato del Pianeta ad oggi. “Paradise” di Alexander Abaturov (2022 Francia – Svizzera) il cui titolo già parla da sé, mostra gli incendi che da alcuni anni stanno devastando la taiga siberiana dove il governo russo non interviene direttamente. Luoghi le cui temperature fino a pochi anni fa erano sotto lo zero per gran parte dell’anno. A salvare il villaggio di casette di legno di Sologon saranno alcuni gruppi di vigili del fuoco continuamente in allerta e che vivono per mesi con le tende nelle foreste ai margini degli incendi per controllarli e limitarli creando barriere con tronchi di alberi e scavando trincee soprattutto con badili e i pochi trattori a disposizione. Mentre altri villaggi bruciano Sologon si salverà in extremis, anche grazie al vento che smetterà di soffiare ed ad una pioggia provvidenziale. Per gran parte del film il villaggio è avvolto da una luce gialla e dal fumo proveniente dagli incendi. Era lo stesso cielo che in questi giorni avvolgeva New York a causa degli incendi in Canada. Per rimanere nel Nord del Pianeta “Linx Man” di Juha Suonäa (Finlandia/Estonia 2023), che ha vinto il Premio Asja Ambiente per la sessione Documentari internazionali, è girato nelle foreste tra Finlandia ed Estonia ed è un film poetico e commovente. A immergerci in quei luoghi misteriosi e fantastici è il protagonista Hannu Rantala che, come un folletto illuminato delle foreste, ci insegna ad osservare pazientemente la vita delle linci in gran parte ancora sterminate dai cacciatori perché considerate loro competitor. Hannu con le telecamere nascoste e con delle affinatissime tecniche, che solo un uomo che vive nella foresta può conoscere, ci regalerà immagini uniche di alcuni esemplari di linci: le femmine Brontolona e Macchia con i loro cuccioli, il Terrore di Laitila, la prima ad essere ripresa e l’ultimo maschio Jooseppi che posava come un attore. Un film che riprende quattro anni di vita di Hannu che nel 2021 ha denunciato alla Corte Suprema Amministrativa della Finlandia che la gestione della popolazione delle linci non è in linea con le direttive e quindi illegale. Un grande atto d’amore di un uomo nei confronti di nostri coabitanti felini creduti da molti ingiustamente inutili e invece importantissimi per l’equilibrio della foresta e perché degni di rispetto come esseri viventi. In Danimarca come ci mostra “Organized Wilderness” di Phie Ambo (2022 - Danimarca) è in atto in questi anni un tentativo di far tornare alle origini, territori occupati da Foreste industriali di pini piantate per l’utilizzo del legno ormai disabitate da flora e fauna per l’intenso sfruttamento. Un progetto che prevede l’abbattimento degli alberi e che sarà sostituito da brughiere per mucche e cavalli al pascolo tenuti sotto il controllo dell’uomo. Il risultato finale è che in territori civilizzati e trasformati da decenni è difficile ricostruire un ambiente selvaggio perché gli uomini faticano ad accettarne le regole naturali come ad esempio la morte degli animali che poi divengono cibo per gli altri. Con “Zug Island” di Nicolas Lachapelle Plamondon (Canada 2022) e che ha vinto il Premio Terna per il miglior Cortometraggio si piomba drammaticamente nei sobborghi industriali tra Usa e Canada dove alcuni quartieri dopo l’arrivo delle Raffinerie di Zug Island sono diventati dei dormitori privi di vita con palazzi senza alcun servizio, bar, negozio e ristorante, perché chi ha potuto se ne è andato e chi è restato vive come un rifiuto sociale. L’autore è andato lì per registrare un rumore che delle notti scuote la popolazione svegliandola lo “Windsor Hum”, un rumore indefinito, forse il rumore delle cisterne, dei motori e delle ciminiere da cui esce continuamente il fuoco ma non è dato a sapersi. Una visione aberrante di ciò che l’industrializzazione ha saputo produrre che le nuove generazione dovranno cambiare se vorranno un altro pianeta. Sulle stesse frequenze Nuclear Nomads di Kilian Friedrich e Tizian Stromp (Germania 2023) che ha ottenuto una menzione speciale dalla giuria internazionale. Le centrali nucleari avvolte dal fumo sono lo sfondo di ogni scena e i Nomadi Nucleari, attori che interpretano loro stessi, sono una coppia che abbracciandosi sogna il futuro in una fattoria, una famiglia con figli i quali vorrebbero poter mettere radici e un ragazzo che una volta in pensione, se ci arriverà, vuole comprarsi un terreno per coltivare ortaggi ed essere indipendente. I nomadi nucleari sono quei lavoratori che passano anni della loro vita in roulotte o in camper per spostarsi da una centrale nucleare ad un’altra in quanto in questo tipo di lavoro c’è un ricambio molto veloce per la pericolosità delle radiazioni che possono essere assorbite in piccole ma anche in dosi massicce e causano la fuga di molti lavoratori inizialmente allettati dalle alte remunerazioni. Uno scenario che sembra apocalittico che è invece la dura realtà dei Paesi europei che hanno accettato l’energia nucleare e le loro centrali. I temi trattati dalle opere presentate al Festival di Torino non sono solo quelli degli effetti del Cambiamento Climatico dovuti alle fonti di energia fossile, ma anche quelli della violazione dei diritti umani negli ambienti di lavoro e per lo sfruttamento di risorse in molti Paesi non tutelati da leggi governative, dove le multinazionali impongono la loro legge senza alcun rispetto delle popolazioni umane e degli ecosistemi naturali. The Illusion of Abundance di Erika Gonzalez Ramirez e Matthieu Lietaert (Belgio 2022) è scritto da una giornalista che ha lavorato per l’Onu a Ginevra e ha potuto seguire le dinamiche delle multinazionali petrolifere e minerarie per impossessarsi dei territori in Paesi senza alcuna legislazione che tuteli le popolazioni e l’ambiente. Nella sezione Panorama e fuori concorso questo filmato ci narra la storia di tre donne mobilitate per l’ambiente e i diritti umani tra cui Bertha dell’Honduras attivista che ha contrastato l’installazione di una diga e per questo è stata uccisa ma la lotta sta continuando con le figlie e gli altri attivisti. Altra protagonista è Maxima del Perù, una minuta ma tenace contadina peruviana che ha lottato per dieci anni contro l’espropriazione della propria terra, che fu dei genitori, da parte di una multinazionale che a forza di esplosioni ricava oro da sperdute e aride montagne per l’occhio comune. La sua battaglia è diventata famosa in tutto il paese perché la violenza perpretata a questa donna e alla sua famiglia ha sollevato l’indignazione di una avvocatessa che ha sposato la sua causa e l’ha portata alla vittoria legale, ma la multinazionale non si è arresa e continua a vessare lei e la sua famiglia con telecamere davanti alla sua umile abitazione per spiarne ogni movimento impedendole una vita dignitosa. L’Onu a Ginevra è vicina all’emanazione di una legge che renderebbe più difficile per una multinazionale adottare questi comportamenti che ledono i diritti umani in un altro Paese. Degno veramente di nota e di essere proiettato ovunque per svelare la vera anima delle aziende di petrolio e gas è “Le Systèm Total. Anatomie d’une multinationale de l’énergie” di Jean-Robert Viallet (France 2022) che ha ottenuto giustamente il premio del pubblico di Cinemambiente di Torino. Ispirato al libro “Di che Total(e) è la storia? Multinazionali e perversione del diritto” di Alain Deneault, fa un’analisi feroce e completa dalle origini fino all’attualità della evoluzione della Total una volta azienda pubblica francese e ora multinazionale. Nasce in Oriente come Compagnia francese del Petrolio quando nel 1927 con un gruppo di geologi fa esplodere il suolo in Mesopotamia in Iraq, a Kirkuk, dove per 8 giorni il petrolio è uscito come un fiume in piena. Poi fu la volta degli oleodotti in Siria e in Libia in seguito Indonesia e Argentina. Lo scrittore Alain, tra i protagonisti del documentario, sottolinea che a un certo punto il colonialismo amministrativo è andato in pensione ma è stato sostituito dalla sudditanza di governi e popolazioni a queste compagnie petrolifere. L’industria petrolifera replica il modello coloniale. Il fatto eccezionale è che la Total nel giornalino che pubblicava nel 1971 parla già di cambiamento climatico e delle conseguenze molto serie che provocheranno i combustibili fossili. Si parla già di scioglimento di ghiacciai e di innalzamento dei mari. Ma il boom economico di quegli anni fa si che l’industria petrolifera sminuisca in ogni modo questo tipo di comunicazione. Proprio nel 1992 al Summit della Terra a Rio de Janeiro la Total stessa dirà che non ci sono prove che dimostrino la responsabilità dell’uomo sul cambiamento climatico. Dopodiché si moltiplicano i pozzi in Qatar, Yemen, Angola, Colombia. Negli anni ‘90 la Francia cede azioni alla Elf che infine privatizzerà il petrolio francese. Da quel momento diventa un gigante nel suo settore in grado di bloccare e controllare i mercati mondiali tramite i cartelli petroliferi, ha la capacità di ottenere più contratti e con tali poteri acquisisce la facoltà di sostituirsi anche a un governo debole e di sottomettere la popolazione per sfruttare le risorse petrolifere. Il patrimonio, il guadagno sempre più alto per gli azionisti è l’unico fine che muove queste aziende. Elf è il connubio tra la famiglia belga Frère e quella canadese Demarais, esperti nelle acquisizioni nel mercato finanziario e in borsa. Ora Totalenergies è il secondo colosso nel suo settore e ha letteralmente invaso ampie zone del Texas, della Pennsylvania e del Nord Dakota con i suoi pozzi di petrolio da scisto (shale oil) ad estrazione orrizzontale e verticale. Tale tecnica si effettua rompendo gli strati della roccia ricavando da esse l’olio di scisto grazie a sostanze ad alta pressione, il fatto è che passano anche sotto le città con sopra abitazioni, scuole e ospedali. Una pratica illegale in Francia e Gran Bretagna e anche in diversi stati Usa. Il drammatico oltre tutto ciò è che il petrolio da scisto è per il 90/95% metano e una volta immagazzinato continua a fuoriuscire rilasciando benzene che è cancerogeno. Lo dichiara il più grande studioso del ciclo del metano al mondo Robert Howarth biogeochimico della Università di Cornell. E nonostante tutto ciò Patrick Pouyanné, il Presidente della TotalEnergies ha il coraggio di vantarsi degli investimenti fatti nell’energia rinnovabile sempre in Texas con i pannelli solari e le pale eoliche nel Golfo del Messico sostenendo di fare di tutto per andare verso le emissioni zero di CO2 dopo l’accordo sul clima del 2015 firmato da 196 Paesi. Tutto è solo facciata, sono tutte parole fasulle l’investimento di Totalenergies è minimo nelle rinnovabili perché “il tasso di rendimento interno è il 5% troppo basso e improponibile per gli azionisti” parola di Bobby Tudor, ex banchiere della Goldmansachs e consulente delle aziende petrolifere. Che si tratti di solo greenwashing ce lo mostra il regista quando a inizio film partono le immagini dell’Uganda, l’ultima mossa di imperialismo coloniale della Totalenergies. Un progetto da 400 pozzi sul Nilo Bianco che distruggerà un terzo della riserva naturale più ricca del Paese, il paradiso delle cascate di Murchison, e le foreste vergini abitata da ippopotami, giraffe e i big five. In più costruiranno un oleodotto di migliaia di chilometri per portare il petrolio in Tanzania sull’oceano indiano. Un piano disastroso dal punto di vista ambientale se si pensa a un territorio vergine e alla popolazione già in parte cacciata dalle loro terre con la promessa di essere risarcita su conti correnti ancora vuoti. Quelle zone sono off-limits nemmeno i giornalisti possono entrare. Per fortuna sono nati dei Comitati locali contro questo progetto e 6 Ong di cui 4 ugandesi e 2 francesi, basandosi su una legge francese non ancora applicata hanno bloccato per ora la Totalenergies che non riposa mai e ha già puntato gli occhi su Brasile, Qatar e Golfo del Messico. “Plastic Connection” è un altro documentario di Terasa Paoli e Paola Vecchia che mette alla luce come i Paesi occidentali si approfittino delle deboli normative e controlli, in questo caso della Turchia, per limitare il traffico di rifiuti. Greenpeace Mediterranea di Istanbul rivela che nel distretto del riciclo ci sono 5 aree contaminate da contaminanti pericolosi provenienti dall’Europa come diossina, fumana che causano lesioni cutanee, cancro, nascite premature, danni al sistema immunitario. La giornalista si reca sopra queste montagne di rifiuti a cielo aperto e trova le etichette di tantissimi prodotti italiani. La Turchia è si dotata di molte industrie di riciclo ad elevata tecnologia ma in molte si dividono i rifiuti ancora manualmente e vi lavorano minori e donne soprattutto provenienti dalla Siria e altri rifugiati. Il problema è che per gli imprenditori riciclare in Europa una tonnellata di plastica costa 150 dollari e in Turchia 10 dollari. E’ sempre una questione di soldi! Dopo il disastro della Terra dei Fuochi conosciuto in tutto il mondo molte imprese non hanno ancora sviluppato un’etica verso l’ambiente e la salute umana. La Commissione ambiente europea ha proposto una legge affinché gli esportatori di rifiuti si accertino degli standard delle aziende straniere altrimenti rischiano il ritiro della licenza. Ma quando diventerà legge questa proposta? E sarà applicata? Uno spiraglio di luce in fondo al tunnel lo portano per fortuna due documentari molto diversi ma che vanno nella stessa direzione dire Stop al Fossile e Unirsi per far prevalere la giustizia e i diritti delle persone e di ogni forma vivente sulla supremazia dei capitali “The Letter: a message for our Earth” di Nicolas Brown (2022 UK) è un film luminoso pieno di speranza e di umanità. Del resto è ispirato al Laudato Si Mouvement sviluppatosi dopo l’enciclica del 2015 dedicata da Papa Francesco alla nostra Madre Terra e alla assoluta necessità di sviluppare un dialogo per un sistema economico che la protegga invece di distruggerla. Visto all’Onu e in 800 comunità, diffuso anche da Leonardo di Caprio e Arnold Schwarzenneger. Il Papa deciderà di fare incontrare a Roma cinque protagonisti sconosciuti che si battono per un futuro dove il rispetto dell’ambiente è centrale. A rappresentare la voce dei Giovani, la giovanissima indiana Ridhima Pandey che sconvolta dalle immagini dei disastri causati dalle alluvioni in India è diventata una portavoce di queste istanze. Come voce dei poveri sarà inviata la lettera papale a Bilal Seck, senegalese, rifugiato climatico, il cui villaggio sull’Atlantico è stato invaso e spazzato via dall’oceano e in questa circostanza ha perso i genitori e altri familiari. Da quel momento Bilal si appoggia dallo zio e studia e organizza incontri sul cambiamento climatico. Dalla foresta amazzonica arriverà il capo Dada per rappresentare i popoli indigeni mentre come rappresentanti della natura da Volcano nelle Hawai sono stati chiamati i biologi Robin Martin e Greg Asner che da anni si occupano di monitorare la barriera corallina e i suoi cambiamenti. Le parole del Papa : “Tutti insieme, tutte le religioni e tutti gli uomini possono fare il miracolo”. Un altro piccolo grande miracolo lo ha fatto il Sunrise Mouvment negli Stati Uniti e “To The End” di Rachel Lears (USA 2022) ne racconta genesi ed evoluzione. Un gruppo di neolaureati spinti dalle parole dell’Onu di qualche anno fa’, che mancano 12 anni ad un disastro globale, si uniscono con lo scopo preciso di cambiare le politiche energetiche degli Stati Uniti promuovendo il Green New Deal e coinvolgendo tutte le persone col motto “Good Jobs and a Livable Future perché solo con la transizione ecologica si creeranno nuovi posti di lavoro e il futuro sarà abitabile. Questo movimento capitanato dalla esplosiva ed empatica Varshini Prakash alla quale si affiancano Alexandra Rojas direttrice di Justice Democrats e la scrittrice Rhiana Gunn-Wright del Roosvelt Institute ed esperta di politica climatica hanno un obiettivo comune: dire ai candidati per le elezioni del Presidente che è possibile decarbonizzare e sanno già come farlo e voteranno solo chi sosterrà il Green New Deal. Queste tre attiviste straordinarie coinvolgeranno migliaia di giovani in tutti gli Usa con marcie di centinaia di chilometri attraverso distese di pozzi di petrolio, paesaggi devastati dall’industria chimica e petrolifera. Uno dei loro punti forti è il sostegno della emergente neodeputata democratica Alexandra Ocazio Cortez e di Bernie Sanders socialista democratico, uno dei candidati per le ultime elezioni presidenziali e che però perderà. Questa sconfitta si ripercuoterà sul Sunrise Mouvement e alcuni membri faranno lo sciopero della fame. La richiesta di sostenere il Green New Deal passerà al Presidente Joe Biden che impiega molto tempo per prendere una decisione ma a sorpresa deciderà di investire nel Green New Deal di Alexandra Ocazio Cortez. Un film molto educativo per i movimenti di giovani che si stanno mobilitando per costruire un nuovo mondo attraverso la transizione ecologica via obbligata per un futuro vivibile. Un insegnamento che arriva dalle ultime generazioni di uno dei paesi che ha prodotto e produce più gas serra e che sta subendo già da molti anni gli effetti del cambiamento climatico. Good Jobs and livable Future a chi lo renderà possibile. La riflessione che ognuno di questi documentari solleva è che la distruzione dell’ambiente è molto più avanzata di quello che pensiamo o vediamo dal nostro divano e sarebbe ora di uscire dalla propria bolla di vita e unirsi a chi vuole un futuro in armonia con ambiente e diritti uguali per tutti per creare nuovi lavori, una nuova umanità e nuovi stili di vita.

Manuela Foschi

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