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Femminismo e maschilismo

Femminismo e maschilismo

Salute BeneComune - Si riflette poco sul valore universale, per tutte e per tutti, dell’istanza dell’autonomia delle donne...

Michele Grandolfo Domenica, 30/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

Si riflette poco sul valore universale, per tutte e per tutti, dell’istanza dell’autonomia delle donne (in relazione, come dice Caterina Botti) e dell’autodeterminazione e il maschilismo se è in primo luogo forma di oppressione è anche gabbia costrittiva del genere maschile (tanto costrittiva da far accettare la macelleria della guerra). E le litanie continuano con le solite affermazioni sulla fragilità della condizione femminile, della necessità dell’esercizio della tutela e frotte di entrambi i sessi che si offrono come tutori/tutrici. E ripropongono il dominio. 

La libertà e l’autodeterminazione non possono essere elargite: si conquistano e le persone oppresse nel liberare sé stesse liberano il mondo. Nel secolo dell’industrializzazione di massa per la produzione di quantità la forma più esplicita del dominio si esprimeva nella condizione operaia e la lotta di classe rappresentava la espressione della rivolta. Alla fine del secolo scorso e ben avviato in quello attuale si prospetta potente il tentativo di assoggettare la vita alla logica del capitale e per questo il controllo dei corpi diviene decisivo.



L’esercizio di mettere sotto tutela le “fragilità” esalta la volontà di dominio, se si tiene conto che le fragilità sono sempre espressione di perdita di autonomia e indicano relazioni di potere e non di cooperazione per la valorizzazione del massimo livello possibile di autodeterminazione, qualunque sia la condizione data. Mettere la vita sotto il controllo del mercato trova passaggi facilitati proprio dalle cosiddette fragilità che si riconoscono nelle persone anziane, nonostante il loro patrimonio di esperienza, nell’età evolutiva (e questo è un insulto all’intelligenza) e, di nuovo, nelle donne, primariamente quando vivono l’esperienza del percorso della nascita, in cui la supposta fragilità è determinata dalla decisione di affrontare un’avventura senza uguali, come dire che Messner è più fragile quando scala l’Everest senza autorespiratore, rispetto a quando passeggia per le strade di Bolzano. Con una contraddizione radicale: da una parte si considerano le donne incompetenti quando invece sarebbe obbligatorio far emergere, valorizzare, promuovere e sostenere le loro competenze. Si opera, piuttosto, sistematicamente per impedire l’espressione di competenza e in tal modo fare mercato con la medicalizzazione della nascita, con sprechi di risorse e danni alla salute, intesa in senso globale e in termini specifici. Dall’altra si scaricano sulle spalle delle donne responsabilità di cura che sarebbe obbligo dei servizi, finanziati con le tasse, assicurare.

Appare a me chiaro che la rivendicazione dell’autonomia ha oggi una caratura ancora più chiara di liberazione universale e sono e saranno le donne alla testa del movimento. Così, la difesa della legge 194/78 non è qualcosa di stantio e già dato, così come non lo è in Spagna la lotta per mantenere il diritto all’aborto sicuro ma, ancora una volta e ancora di più un passaggio decisivo per l’affermazione dell’autodeterminazione contro la mercantilizzazione della vita. E non dimentichiamoci che l’evoluzione del ricorso all’aborto in Italia ha rappresentato la più clamorosa e convincente dimostrazione di quanto sia valido investire sulla promozione delle competenze delle donne.

 



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