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Femminicidi: perché le fotografie sono quasi sempre quelle delle donne offese e non dei loro assassi

Femminicidi: perché le fotografie sono quasi sempre quelle delle donne offese e non dei loro assassi

Riflettere sul perchè vengono pubblicate solo le foto delle donne offese. Scoprendo la "normalità" dei volti maschili forse aiuterebbe ad affrontare il fenomeno della violenza con più efficacia

Venerdi, 02/03/2018 - Una pagina intera de La Stampa di oggi riporta la notizia di un nuovo femminicidio.

Due giornaliste narrano i fatti: non si parla più di “raptus”o “amore malato”e non ci si perde in dettagli inutili, macabri o al limite del voyeurismo, ma… c’è un ma…

Quali immagini integrano i testi?

Il luogo dove si sono svolti i fatti, una ex famiglia apparentemente felice e sei giovani donne sorridenti con il loro nome e occhi che guardano chi legge.

Viene istintiva una domanda: perché le fotografie sono quasi sempre quelle delle donne offese e non dei loro assassini?

Perché l’oggetto ( brutta parola quando si parla di donne, ma in questo caso inevitabile) e non il soggetto del fatto?

Queste poche righe non vogliono essere né” una lezione” di giornalismo, né un invito a “sbattere il mostro in prima pagina”, ma uno spunto di riflessione.

Guardando i volti dei soggetti di questi continui femminicidi, mariti, compagni, padri o fratelli, anche loro sorridenti e con lo sguardo rassicurante di una fototessera o di un momento felice, ci accorgeremmo della loro “normalità” e forse “quei campanelli d’allarme che non impediscono i femminicidi” come titola uno dei due articoli, si farebbero più forti e contribuirebbero a non sottovalutare quanto accade e ad affrontare il fenomeno con più efficacia.

SeNonOraQuando?Torino

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