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Donne in Parlamento: chi, cosa / Il Jobs act

Donne in Parlamento: chi, cosa / Il Jobs act

Il decisionismo di Renzi, le Riforme, lo sgomento di parlamentari donne. L'opinione della senatrice Erica D'Adda

Mercoledi, 04/03/2015 -
A settimane o giorni alterni i giornali si riempiono di notizie sul decisionismo di Renzi e sui vecchi o nuovi nemici che tale decisionismo (paragonato a quello di un treno in corsa e senza fermate) produce. Prima della elezione di Mattarella il treno in corsa di Renzi, alimentato dall'accordo del Nazareno con Berlusconi, sembrava aver messo su un binario morto la minoranza dei PD facente capo all'ex segretario Bersani. Con lo "schiaffo" a Berlusconi (la elezione di MATTARELLA senza accordi con FI) il treno renziano è sembrato procedere a tutto vapore solo dopo aver agganciato i vagoni dei voti di tutto il PD, che si sostituivano quindi a quelli di FI.

Ma ora il treno della sinistra unita sta rallentando. Lo ha detto chiaramente Bersani per il quale o si rivedono le norme sul Bicameralismo o Renzi non avrà i voti (e cioè i vagoni) necessari per varare la nuova legge elettorale e lo stanno dimostrando anche le donne Parlamentari, prima di tutte la Presidente della Camera Boldrini, sdegnata per il disinteresse dimostrato da Renzi verso i poteri e l'autorevolezza del Parlamento. Uno sdegno fondato sul comportamento tenuto sul Jobs Act, vale a dire la Riforma del lavoro sulla quale si incrociano le spade di chi vuole abolire e chi vuole mantenere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che, di fatto, impediva di licenziare senza giusta causa. Non c'è quindi solo ostacolo delle legge elettorale e delle Riforme sul percorso del treno governativo ma anche quello della nuova Riforma del lavoro, come ci spiega la senatrice Erica D'Adda, esponente della minoranza del Pd e membro della Commissione che suo Jobs Act è impegnata dal Novembre scorso.

In quell'epoca il Governo varò una legge delega sul Jobs Act, che aboliva l'art. 18 ma che creava nuove garanzie per i disoccupati ed i precari, garanzie tali da far sperare che la perdita di alcune sicurezze sul vecchio lavoro fosse però bilanciata da politiche attive capaci di creare facilità di reinserimento in un nuovo lavoro. E anche buone novità per i precari. La Legge delega impone un parere delle Camere prima di diventare un decreto attuativo emesso in nuova battuta dal Governo. Le camere, e soprattutto le sinistre, espressero varie preoccupazioni nel parere inviato al Governo. Anche nel PD furono forti le preoccupazioni sulle poche garanzie

che si davano a fronte della facilità di licenziamento che si concretizzava. Letti i pareri delle Camere, ci spiega la Senatrice D'Adda, non solo dal Governo sono stati sottovalutati, ma nel Decreto varato a Gennaio da Renzi, per concludere l'iter del provvedimento, si sono inserite anche norme nuove che rendono più facili e discrezionali i licenziamenti collettivi, cioè quelli di più di cinque lavoratori alla volta. Le commissioni Parlamentari, investite nuovamente del compito di esprimere un nuovo parere sul nuovo testo comprendente gli imprevisti licenziamenti collettivi, hanno opposto un secco NO sottoscritto da tutto il PD all'unanimità, ma il Governo non ne ha tenuto assolutamente conto dei NO parlamentari e i licenziamenti collettivi facilitati sono diventati definitivamente legge. Il rischio in conclusione, spiega la senatrice D'Adda, non è solo un pericoloso precedente nella storia Parlamentare, ma anche che si possa procedere a licenziamenti collettivi senza tutele di nuove collocazioni e senza tutele crescenti per eventuali giovani chiamati a sostituire, a salari dimezzati, i lavoratori licenziati. In poche parole, si darebbe ipoteticamente mano libera a grandi aziende, come la Fiat, di licenziare tutti i lavoratori per assumere giovani a tutele esigue. Il disegno di legge delega sul Jobs Act approvato a fine scorso anno prevede, per la sua approvazione, il varo di 6-7 spezzoni da trasformare in altrettanti Decreti Legge. Finora ne sono stati varati 3, accolti con il disagio e lo sgomento appena descritto e, conclude la senatrice D'Adda, con il rischio di far implodere lo stato sociale. Ma un rischio lo sta correndo anche il treno di Renzi: senza i vagoni dei voti PD e senza i vagoni dei voti FI, per proseguire la sua corsa senza essere fermato dovrebbe caricare a bordo i vari fuoriusciti di 5 Stelle e gli scontenti di FI. Fuoriusciti e scontenti che, quanto a saldezza di propositi, possono far correre nuovi rischi

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