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Divieto di iscrizione anagrafica per figli di coppie omosessuali: contraddizioni,biologia,amore

Divieto di iscrizione anagrafica per figli di coppie omosessuali: contraddizioni,biologia,amore

Le coppie etero sessuali non devono portare le 'prove' che invece sono richieste a due uomini o due donne

Venerdi, 24/03/2023 - Ho riguardato il film di Ficarra e Picone “Il 7 e l’8”. I due scoprono di essere stati scambiati nelle culle appena nati, e Picone, in un momento di rabbia, dichiara a suo padre: «Tu non sei mio padre!» Inaspettatamente i suoi genitori gli rispondono che è vero, ma non per la ragione di scambio che loro avevano scoperto. La madre racconta che da giovane aveva un altro fidanzato; quando si lasciarono lei scoprì di essere incinta ma non volle dirlo all’ex con il quale ormai non aveva più rapporti; nel frattempo le faceva la corte un giovane vicino di casa che lei informò sinceramente della situazione e il quale decise serenamente di accogliere quel bambino come se fosse anche biologicamente suo. I due si sposarono e quando dichiararono all’anagrafe la nascita di quel bambino nessuno li interrogò sulla paternità biologica del nascituro. E voglio augurarmi che nessuna persona di buon senso non considererebbe quell’uomo in effetti padre di quel ragazzo. Chi dice che non lo è non ha né buon senso né umanità, mi spiace. Perché è l’affetto che crea una famiglia, non la biologia.
Non esisteva il test del dna? Un test dei gruppi sanguigni dava quantomeno un riscontro di incompatibilità in alcuni casi. Ma nessuno all’anagrafe - questo è il punto - ha mai dovuto né richiedere né dichiarare un accertamento sulla paternità biologica dei figli.
Da pochi decenni la tecnologia ci ha inspiegabilmente ossessionati col dna, tanto da considerarlo “la prova regina” nei processi, tanto che, mentre nel processo ad O.J. Simpson (1994-95) il test del dna – che ovviamente lo identificava sul luogo dell’assassinio della sua ex moglie – non fu abbastanza per i giurati che non avevano ancora familiarità con quella scoperta, pochi anni dopo (2014-18), al di qua dell’oceano, Massimo Bossetti è stato condannato per l’omicidio della giovane Yara Gambirasio esclusivamente sulla base di un test del dna, come esplicitamente dichiarato nelle sentenze. Oggi si dà quindi moltissima – troppa – importanza al dna, eppure nonostante questo se io e il mio compagno ci presentassimo all’anagrafe per dichiarare la nascita di nostra figlia o nostro figlio nessuno ci chiederebbe un test genetico, per giunta nonostante il fatto che noi non siamo sposati e quindi non opera la presunzione di paternità prevista dall’articolo 231 del codice civile italiano, scritto in epoca fascista.
«Io vedo tutto, questo è il mio problema» disse Anna Politkovskaja, e io ho disgraziatamente il vizio di vedere le contraddizioni della cultura in cui vivo e del sistema legale prodotto in questa cultura. E allora non posso fare a meno di notare l’evidente contraddizione che c’è tra le dichiarazioni di nascita fatte all’anagrafe da coppie eterosessuali, in cui nessuno si preoccupa della biologia, e le dichiarazioni di nascita fatte da coppie omosessuali in cui, inspiegabilmente, la biologia diventa importante.

Una circolare della Prefettura di Milano, all’esito di un’interrogazione al Ministero dell’Interno, ha bloccato la registrazione anagrafica del rapporto di filiazione per i bambini e le bambine nati figli e figlie di due mamme o due papà, discriminando così quella parte della coppia genitoriale che non ha un legame genetico con il figlio o la figlia.
Nella circolare si legge proprio che «il solo genitore che abbia un legame biologico con il nato può essere menzionato nell’atto di nascita che viene formato in Italia», richiedendo la verifica di quel legame biologico che a nessun padre eterosessuale è mai stato richiesto e che continua a non essere richiesto, ecco la contraddizione! Questi bambini e bambine sono quindi meno cittadini/e italiani/e degli altri? Apparentemente sì, perché solo nei loro confronti viene ignorato l’articolo 2 della nostra Costituzione che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Il verbo “riconoscere” è essenziale, perché è ben diverso dal verbo “concedere”. E non è il nucleo familiare una formazione sociale, anzi la prima? E non è una famiglia quella in cui vi sono due mamme e due papà? Non è forse una famiglia quella in cui vi è solo un padre o una madre vedovi? Non è forse una famiglia quella in cui vi è solo una madre perché l’uomo biologicamente legato a quel bambino o quella bambina non è mai stato un padre? Non è forse una famiglia quella in cui mancano entrambe le figure di mamma e papà, ma ci sono nonni, zii, fratelli o sorelle? Non è forse una famiglia quella – bellissima – nata con l’adozione? E perché l’adozione è così difficile in Italia e comunque limitata alle coppie eterosessuali sposate, salvo che in casi particolari? Ancora una volta l’Italia dimentica che è l’affetto e non la biologia a formare una famiglia.
Quindi non è più possibile l’iscrizione anagrafica di entrambi i genitori omosessuali; rimediate con l’adozione in casi speciali prevista pure dalla legge, è la risposta del Ministero. Tipicamente italiano: rendere più difficile, lungo e costoso il riconoscimento – riconoscimento, non concessione! – di un diritto. Come ancora accade con il doppio cognome: la Corte Costituzionale ha finalmente dichiarato l’incostituzionalità dell’attribuzione automatica alla nascita del solo cognome paterno - marchio del patriarcato e di quel codice civile fascista di cui dicevamo prima -, ha sollecitato il Parlamento a produrre una normativa globale che adegui quanto c’è da adeguare per i maggiorenni e il cambio generazionale, e invece il Parlamento si disinteressa totalmente di garantire questo diritto costituzionale ai cittadini e alle cittadine, obbligando così i/le maggiorenni che vogliono esercitare quel diritto alla procedura di “cambiamento del cognome” presso la Prefettura, con la quale si chiede un’autorizzazione amministrativa, cosa ben diversa dall’esercizio di un diritto!

Come ha osservato Chiara Valerio, lo Stato italiano chiede a tutte e tutti coloro che hanno la cittadinanza italiana una moltitudine di doveri, ma non garantisce a tutte e tutti coloro che hanno la cittadinanza italiana eguali diritti: ciò è sintomo «o di una disfunzione giuridica e amministrativa o di una intenzione politica. E ciò dovrebbe gettare nello sconcerto e nello sconforto ogni cittadino e cittadina di questa Repubblica».
Gli antichi e geniali romani - consapevoli che mater semper certa est, pater numquam -, per essere sicuri di trasmettere i propri beni a figli che fossero biologicamente loro, inventarono un contratto di compravendita chiamato matrimonio con cui acquistare la proprietà e la fedeltà di una donna. I moderni italiani portatori di pregiudizi hanno inventato un modo per discriminare bambini e bambine a seconda dell’appartenenza sessuale e dell’orientamento sessuale dei loro genitori. Al posto di costruire nuovi diritti vengono distrutti quelli esistenti; è davvero difficile da credere ma i diritti possono andare indietro anziché avanti, anche quando ormai li diamo per scontati, anzi soprattutto quando ormai li diamo per scontati.
Cosa fare?
L’associazione Famiglie arcobaleno ha lanciato un appello che può essere firmato online – “DisObbediamo” – rivolto ai sindaci e alle sindache d’Italia chiedendo loro di «disobbedire coraggiosamente, perché quando le leggi sono ingiuste vanno combattute».
Rifletté Hannah Arendt: «La disobbedienza civile insorge quando un numero significativo di cittadini si convince che i canali consueti del cambiamento non funzionano più, che non viene più dato ascolto né seguito alle loro rimostranze o che, al contrario, il governo sta cambiano ed è indirizzato o ormai avviato verso una condotta dubbia in termini di costituzionalità e legalità».
Cosa fare?

Dato che siamo partite da un film, finiamo tornando a guardare lo schermo tv. Nella serie televisiva statunitense di rara intelligenza "The Newsroom", un gruppo di giornaliste e giornalisti convinte/i che la buona informazione non sia intrattenimento e che è proprio quella buona e corretta informazione a coltivare cittadine e cittadini migliori in grado di formare una nazione migliore, prova per 25 episodi a «fare un telegiornale che sia un vero servizio pubblico», sentendosi come moderni Don Chisciotte che combattono contro i mulini a vento. Il mondo in cui vivono peggiora nell’indifferenza e nell’ignoranza ad ogni puntata ma loro non mollano. Nell’ultimo episodio – quando il mondo dell’informazione intorno a loro ha ormai irrimediabilmente perso la sua vocazione d’informazione – si domandano come poter andare avanti affrontando difficoltà e scontri ogni giorno, e la risposta è: «Hai una piccola falla nella barca. La falla non può essere tappata né tantomeno riparata, e non puoi avere una barca nuova, hai solo quella barca. Quello che devi fare ora è buttare fuori in fretta più acqua di quanta ne entri».

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