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Dacia Maraini. Non c'è femminismo senza utopia

Dacia Maraini. Non c'è femminismo senza utopia

Focus / Otto marzo allo specchio. 2 - Le grandi organizzazioni femministe sono morte insieme alle ideologie, ma le discriminazioni da combattere sono ancora tante e le donne devono chiedere di più. Parola di Dacia Maraini

Bartolini Tiziana Lunedi, 07/03/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2016

Ha dedicato molti suoi libri a figure femminili - Marianna Ucrìa, Santa Chiara di Assisi, Maria Stuarda, la cortigiana Veronica Franco, la giornalista Michela Canova - sempre sfidando i pregiudizi e nel suo ultimo “La mia vita. Le mie battaglie”, Dacia Maraini, sollecitata dalle domande di Joseph Farrell, ripercorre le tappe salienti della sua esistenza. L’abbiamo interpellata per questo nostro focus sull’8 marzo, sulla sua visione del mondo. E delle donne.



Da scrittrice e donna di cultura che ha modo di viaggiare e di osservare il mondo nella sua complessità, come vive questa fase della storia così dura e anche così difficilmente comprensibile?

Penso che stiamo entrando in una crisi mondiale molto grave, che annuncia guerre. Mi sorprende l’incoscienza dei nostri politici che stanno a bisticciare, insultandosi infantilmente, rinunciando ad alzare la testa e guardare il mondo. Sembra che tutto si risolva nel cerchio del proprio ombelico geografico, nelle piccole beghe interne. La cosa che mi avvilisce è quando scopro che alcuni politici gongolano di felicità quando le cose vanno male per il paese, perché così possono dire peste e corna dei loro avversari. Lo trovo grottesco e immorale.



Perché manca una parola pubblica incisiva delle donne, perché non si riesce a delineare un'agenda, anche di massima, intorno alla quale le donne possono battersi tutte insieme?

Perché le grandi organizzazioni femministe sono morte assieme con l’ideologia. Anzi sono morte tutte le ideologie e tutte le utopie che hanno spinto le masse negli anni ‘70. La prassi continua: molte donne si rimboccano le maniche e lavorano per migliorare la condizione delle donne sia sul piano legale, che storico che sociale. Ma sono piccoli gruppi di iniziativa privata. Mancano i grandi ideali che smuovono le masse.



Eppure ci sono tante donne sulla ribalta pubblica, anche con ruoli di potere. Ma come non osservare che il loro protagonismo è finalizzato, talvolta, verso obiettivi inconciliabili: dalle combattenti peshmerga fino a una Marine Le Pen, alla testa di movimenti xenofobi e ultra conservatori, per fare esempi estremi. Sono lontani gli anni in cui i movimenti riempivano le piazze con intenti largamente condivisi. Ma cosa è successo alle donne?

Le donne non sono tutte uguali. Per fortuna! Proprio come succede agli uomini, poiché le donne appartengono al genere umano prima che al genere femminile, sono capaci di fare il male e fare il bene. Il libero arbitrio è una grande libertà che nessuna religione e nessuna politica può proibire, salvo farsi dittatura e oppressione. Quindi è normale e comprensibile che ci siano donne generose, moderne, avanzate culturalmente e donne antiquate, razziste,bigotte. Chi pensa alle donne come a un fronte unico, fa del razzismo. Non esistono una razza femminile e una maschile. Esiste l’essere umano con i suoi diritti e i suoi doveri. Detto questo bisogna riconoscere che esiste una questione femminile, ma dovuta alla storia non alla biologia. Non perché le donne sono fatte in modo diverso, ma perché hanno vissuto una storia diversa, non voluta da loro ma imposta dal patriarcato che le ha demonizzate, colpevolizzate, chiuse dentro un destino e un ruolo stereotipato spesso limitativo e umiliante. Anche se oggi le cose sono molto cambiate, restano ancora tante forme di discriminazione contro cui combattere. Il femminicidio, per esempio è un delitto di genere, ma non dovuto alla “aggressività innata degli uomini”, come pensano alcuni, ma ad una antica cultura del possesso che torna a galla come un rigurgito in tempi di emancipazione. Se andate a leggere le motivazioni dei delitti in famiglia c’è sempre un momento in cui lei dice “me ne vado” e lui entra in crisi. Perché ha identificato la sua virilità col possesso di quella donna, di quella famiglia. La crisi è culturale non biologica. Certi uomini, soprattutto i più deboli, hanno paura dell’autonomia femminile; una paura talmente devastante da trasformarli in assassini. Quasi un delitto ogni due giorni: non è una cosa normale. Segno che l’emancipazione femminile crea terremoti culturali di non facile gestione. Di fronte a queste forme di violenza, le donne hanno il diritto di chiedere più autonomia, più libertà professionale, più rispetto. Tutte cose, che in momenti di crisi come questo, vengono tranquillamente gettate da una parte .

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