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Covid-19, mi scrive una ragazza che si è ammalata...

Covid-19, mi scrive una ragazza che si è ammalata...

Un comportamento esemplare che ha evitato di contagiare decine di persone e da cui possiamo imparare

Martedi, 10/03/2020 - Mi scrive una ragazza incontrata qualche anno fa, mi manda questo scritto e io le chiedo la possibilità di farlo conoscere perché ne abbiamo bisogno.
Ho appena parlato al telefono con un’amica che vive fuori dalla zona rossa in cui abito e mi ha raccontato di persone che fanno la movida, che trovano eccessivo sospendere le riunioni.
S. scrive a noi, specie umana, con affetto e coraggio perché ci vuole coraggio a pensare a noi, non contagiati, noi magari superficiali, distratti, che magari facciamo stupidaggini solo perché non portiamo la paura dalla pancia al cuore e dal cuore alla testa.
Sono in casa e non posso fare niente di utile per nessuno e S. mi dà l’occasione di fare la passaparola, sono contenta che lei mi affidi le sue parole per voi.
Come dico sempre, a me capita di conoscere solo donne speciali e lo sono perché scelgono di esserlo ogni giorno, in ogni circostanza.
Leggetela, è per voi.
Rosangela

Ciao specie umana.
Sono una ragazza, sono asmatica e lavoro in una terapia intensiva pediatrica come infermiera.
Venerdì 28 febbraio avevo una banale tosse, la stessa tosse che ho avuto altre mille volte nella mia vita.
Il sabato mattina sarei dovuta andare al lavoro.
Ero recentemente tornata da una zona non rossa, non ancora, ma a rischio. Ho chiamato al lavoro per informare che avevo la tosse ed ero stata in una zona potenzialmente a rischio. Mi hanno detto prontamente di stare a casa, ci saremmo aggiornati il lunedì per vedere se sarei stata nelle condizioni di rientrare.
Dal sabato pomeriggio comunque io ho iniziato a isolarmi, evitando di lasciare il mio appartamento, e ho cominciato a chiamare il numero che si occupa di questa nuova emergenza per fare pressione affinché qualcuno venisse a farmi i tamponi.
Lo dovevo a me stessa, lo dovevo ai miei coinquilini, ai miei piccoli pazienti, ai miei colleghi, familiari, amici. E ad altri milioni di persone nel mondo.
Il lunedì mattina mi sono svegliata, la mia voce era sparita, respiravo, ma qualcosa non andava. Ero affannata.
Ho chiamato ancora il numero, stavolta dicendo che non mi sentivo benissimo. Avevo la gola in fiamme e un po’ di stridore respiratorio.
Finalmente il lunedì pomeriggio dei colleghi mi hanno fatto i tamponi.
Il mercoledì sera ricevo la chiamata: purtroppo ero risultata positiva al Covid-19.
Deglutisco, cerco di mantenere la calma, la paura è tanta.
Ascolto le direttive: “Covid-19, istruzioni per l’uso”.
Penso a tutte le persone che avevo visto negli ultimi giorni.
Avviso i miei coinquilini, 14 giorni a casa per loro e per le persone con le quali sono stati in contatto da sabato.
A quel punto è iniziato il giro di chiamate, piena di vergogna, per comunicare a tutti i miei familiari e amici che ero risultata positiva.
Scrivo una e-mail al mio capo, era importante che anche lui lo sapesse, dato che lavoro in una terapia intensiva pediatrica, come dicevo.
Non so se lo sapete ma i bambini che vengono ricoverati in terapia intensiva sono seriamente malati, a volte immunodepressi, altre compromessi a livello respiratorio, cardiaco, neurologico. Tutte queste condizioni li mettono a rischio di non farcela.
Oggi è il 9 marzo, giorno 10 del mio isolamento, 10 giorni senza uscire di casa. Le ore non scorrono in queste quattro mura, parlo con i miei coinquilini tramite il cellulare, esco dalla stanza solo per lavarmi e andare al bagno, non vado in salotto, non cucino, se esco dalla stanza mi metto la mascherina, ho la spazzatura nella mia stanza perché non abbiamo ricevuto grandi direttive su come comportarci per il ritiro dei nostri rifiuti “infetti”, se tocco le maniglie a mani libere poi devo pulirle con le salviettine antibatteriche, dopo la doccia devo pulire tutto con la candeggina, il mio bagno è al piano di sotto quindi ogni volta prima di uscire dalla stanza mi devo assicurare che nessuno dei miei coinquilini sia giù o fuori dalla propria stanza,
Non faccio la lavatrice dal 28 di febbraio perché anche prima di sapere di essere positiva ho letto cosa dicevano le normative e quindi in via precauzionale ho preferito aspettare di avere “il verdetto”.
Non vedo le facce dei miei coinquilini da mercoledì sera.
Raccolgo da terra i pasti che mi vengono lasciati fuori dalla porta una volta che i miei coinquilini non sono fuori dalla mia stanza, per evitare il contagio per loro, che per fortuna stanno bene. Lo faccio con il sorriso, nonostante a volte senta la mia dignità personale violata.
È un momento storico particolare, stiamo affrontando una cosa che tutti eravamo abituati a vedere solo nei film.
Ho scritto questa cosa per sensibilizzare voi che leggerete.
Io ora sto bene. La voce è rauca ma la tosse sta passando e so che andrà tutto bene.
Almeno due volte al giorno mi fermo e penso: cosa sarebbe successo se non avessi dato importanza a quella tosse? Se non mi fossi isolata? Se non avessi chiamato il numero di emergenza 5 volte in 3 giorni per insistere perché mi facessero il tampone? Se avessi approfittato del fatto che ero a casa dal lavoro per andare a fare un po’ di shopping? Se fossi andata in palestra?
Ma soprattutto, se fossi andata al lavoro dai miei piccoli pazienti malati?
Mi viene la pelle d’oca solo al pensiero.
Per ogni singola persona che ora sta soffrendo o sta lottando tra la vita e la morte attaccata ad un respiratore. Per ogni anziano che verrà lasciato morire perché nei protocolli di emergenza funziona così. Per ogni essere umano che purtroppo non è fortunato come sono stata io e potrebbe non farcela per colpa di troppa leggerezza sua o del suo vicino di treno.
Per il bene di TUTTI vi chiedo dal profondo del mio cuore di usare il buonsenso e il senso civico in questo momento critico. La situazione è già allarmante ma se tutti usiamo un po’ di buonsenso sono sicura che la situazione rientrerà: state a casa, lavatevi le mani, tossite nel gomito, mantenete le distanze dalle altre persone, isolatevi se avete qualche sintomo preoccupante.
Non dite “E’ solo una tosse”, perché quella tosse potrebbe essere solo una tosse per voi. Ma potrebbe avere conseguenze più gravi per qualcun altro.
E se tutti noi, nei piccoli gesti quotidiani cercheremo di essere un pochino più accorti, quel piccolo gesto un giorno avrà salvato tantissime vite.
So che non è facile, ma continuo a dirmi che tra un mese, forse due, sarò fuori da questa stanza e potrò finalmente abbracciare le persone a me care senza paura.
Continuo a dirmi che insieme, come specie umana, ce la faremo. E usciremo da questa situazione con una nuova consapevolezza.
Oggi non posso abbracciare nessuno, ma spero che sentiate la forza delle mie parole: è un appello silenzioso ma che spero risuoni forte come un urlo.
Vi abbraccio a due metri di distanza.
S.

Articolo pubblicato il 9 marzo 2020 nel sito di Rosangela Pesenti

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