Lunedi, 27/04/2020 - La pandemia ha posto con chiarezza il tema delle relazioni tra la permanenza degli umani e la natura nel suo insieme, portando all'attenzione del pianeta la necessità di conoscere l'impatto delle nostre scelte economiche, gli stili di vita e i consumi delle risorse. Da molto tempo gli ambientalisti e gli scienziati segnalavano i gravi effetti degli eccessivi disequilibri e negli ultimi mesi la giovane Greta è diventata il simbolo di una rivolta di proporzioni planetarie che ha richiamato i potenti della Terra alle loro responsabilità. Alcuni movimenti femministi da molto tempo studiano la relazione tra la violenza dell'uomo sulla donne e dell'uomo sulla natura. Sollecitiamo la professoressa Luisella Battaglia, dell’Istituto Italiano di Bioetica, su questo filone di studi e riflessioni nell'ambito del ciclo di conversazioni sull'impatto del coronavirus nella società. Qui le altre conversazioni pubblicate su: il prendersi cura, la globalizzazione, la morte, Scienza: fidarsi/affidarsi; Infermieri e infermiere; Salute/economia, ignoto e paure; IO/NOI: essere comunità
Quali sono i principali elementi che l’ecofemminismo ha posto al centro dei suoi studi? Essendo fortemente interessata sia al femminismo che all’ecologia sono partita da una serie di domande. Innanzitutto: è possibile coniugare questione femminile e questione ambientale? E, in caso di risposta affermativa, quali prospettive potrebbe aprirci? Cosa può significare guardare ai temi ambientali con ‘occhi di donna’? Per cercare di rispondere ho trovato alcuni spunti di riflessione in un testo ormai ‘classico’ dell’ecofemminismo, La morte della natura. Donne, ecologia, rivoluzione scientifica (1980) di Carolyn Merchant. Donne e natura - è la sua tesi - sono unite da un'associazione millenaria. Nella visione del mondo premoderno era centrale l'immagine della natura come madre nutrice che provvedeva ai bisogni dell’umanità, ma accanto a tale immagine - compresente e antagonista - era diffusa anche quella della natura come femmina selvaggia, apportatrice di violenza e turbamento. Se l'immagine della natura come madre benefica generava sentimenti di amore e rispetto e svolgeva un preciso ruolo normativo di inibizione nei confronti di comportamenti distruttivi, l'immagine della natura come disordine e caos favoriva invece l'idea moderna del potere e del dominio, rafforzando atteggiamenti di sfruttamento e alimentando una cultura dell'arroganza. In tale quadro, la rivoluzione scientifica del XVII secolo viene interpretata dalla Merchant come lo sradicamento di una delle metafore femminili della natura - “Terra Mater”, l'alma nutrice - e l'affermazione incontrastata dell'altra - la femmina selvaggia. L'attuale coscienza femminista ed ecologica potrebbe quindi essere usata per esaminare le connessioni storiche tra donne e natura: “Scrivere la storia da un punto di vista femminista vuol dire capovolgerla: ossia vedere la struttura sociale dal basso e proporre alternative ai valori prevalenti. L'antica identità della natura come madre nutrice collega la storia delle donne alla storia dell’ambiente. Riesaminando criticamente la storia da questi nuovi punti di vista, possiamo cominciare a scoprire valori associati al mondo premoderno che potrebbe valere la pena di trasformare e reintegrare nella società di oggi e di domani”.
Si comprende in tal modo come La morte della natura sia stata considerata una sorta di Bibbia del femminismo ecologico, o ecofemminismo. Sorto in America alla fine degli anni Settanta, esso sostiene non solo che una teoria e una pratica femminista devono riflettere una prospettiva ecologica, ma che il movimento ecologico stesso dovrebbe abbracciare una prospettiva femminista.
Al centro dell'ecofemminismo è dunque una preoccupazione per la natura e il suo sfruttamento che esprime un interesse di tipo ambientalistico ma insieme, e più profondamente, traduce un'istanza femminista, data la connessione tra oppressione delle donne e della natura. “Per troppi secoli - ha scritto a sua volta Adrienne Rich - siamo state considerate come pura natura, sfruttate e violate come la terra e il sistema solare”. La brutalizzazione e la violenza di cui le donne sono vittime sarebbero pertanto da collegarsi al disprezzo e all'odio verso la natura e le altre forme di vita, e viceversa. Da qui la necessità, per il femminismo, di acquisire una coscienza ecologica per condurre in modo globale la sua critica all’ideologia patriarcale e, per il pensiero ecologico, di avvalersi degli strumenti concettuali approntati dal femminismo per affrontare il nodo della misoginia della nostra cultura. Comune è il nemico, da identificarsi nella cultura maschile (androcentrismo), termine che sta a sottolineare la mascolinità intrinseca della cultura in cui viviamo: in essa valori, credenze, atteggiamenti caratteristicamente maschili verrebbero assunti come assoluti e universali, adottati come il parametro dell'umanità stessa. La cultura patriarcale avrebbe, da un lato, represso e svalutato l'esperienza femminile e, dall'altro, assolutizzato e universalizzato quella maschile conducendo nei millenni a pratiche e atteggiamenti responsabili del dominio della natura e della donna. È dunque in particolare la cultura della gerarchia a collegare concettualmente il dominio della natura e quello della donna.
Perché le donne, secondo le ecofemministe, dovrebbero essere particolarmente interessate all’ambiente? È possibile stabilire un legame tra pensiero ecologico ed etica della cura?
L’associazione tra donna e natura rinvia, come si è visto, ha un legame profondo istituito dalla vita stessa. L'ecologia si configurerebbe come un tema tipicamente femminile poiché le donne, associate più degli uomini ai processi riproduttivi, avrebbero uno speciale interesse alla difesa dell'ambiente.
Nel richiamare un elemento di maggiore vicinanza tra le donne e l'ecologia si fa, ad esempio, esplicito riferimento alla percezione dell'ambiente come casa (ecologia, secondo la radice greca, è “scienza della casa”). Se lo sfruttamento della natura fa parte di una logica di dominio maschile, la cura femminile per l'ambiente rinvia a una relazione simpatetica di rispetto e di amore, una sorta di dilatazione cosmica dell’antica cultura della domesticità. Le donne, come responsabili dell'oikos si troverebbero in una posizione privilegiata per tradurre la coscienza ecologica in prassi politica. Nell'ecofemminismo, come nel movimento delle donne per la pace, l'universalità della coscienza materna intende fondare un'etica dell'impegno civile: la maternità sembra conferire una speciale capacità di proteggere la vita e la natura, quei valori, appunto, che sarebbero minacciati dalla cultura androcentrica. L'associazione donna/natura dovrebbe inoltre mostrare sia una minore alienazione della donna dalla natura, sia la responsabilità particolare che da tale coinvolgimento le deriverebbe. “Le donne - scrive ad esempio Susan Griffin - sono state a lungo associate con la natura. E se questa associazione è stata la razionalizzazione della nostra oppressione, da parte di una società che teme sia la donna che la natura, essa significa altresì che le donne sono spesso meno alienate dalla natura di quanto lo sia la maggior parte degli uomini”. Se cura significa attenzione e sollecitudine per il mondo vivente, rispetto per l’ambiente nella sua complessità, un dialogo tra pensiero delle donne e pensiero ecologico è parso non solo possibile, ma necessario. Su questa linea si sono sviluppati orientamenti legati all’etica della cura che hanno sottolineato lo speciale interesse femminile per l’ambiente. Vandana Shiva, una delle teoriche più note dell’ecologia sociale, riprendendo l’associazione millenaria che associa all’idea di femminilità quella di vita e di natura, ritiene che spetti in particolare alle donne - custodi di un sapere primigenio costruito in secoli di familiarità con la terra - difendere l’ambiente dalle conseguenze disastrose che lo sviluppo o piuttosto, secondo la sua espressione, il ‘malsviluppo’, ha portato nel Terzo Mondo, minacciando la stessa sopravvivenza del pianeta. Si tratta pertanto di far leva sulle capacità e le attitudini che le donne hanno sviluppato nei secoli, facendole confluire sulla ‘cura’ dell’ambiente per progettare un mondo più accogliente e vivibile. A partire da queste linee di pensiero sono maturate alcune idee-guida - ‘coscienza del limite’di contro all’impulso prometeico; ‘saggezza della paura’ contrapposta alla filosofia del rischio; ‘principio di precauzione’ come rifiuto dello scientismo - che hanno dato vita ad un’etica della responsabilità per la natura.
Come il coronavirus ci riconduce nell’ambito di tali riflessioni e quali indicazioni possiamo trarre nell’immediato e nel medio termine? Le più recenti indagini scientifiche indicano che la Terra sta vivendo un enorme periodo di declino che avrà conseguenze a cascata sul funzionamento degli ecosistemi modificando le relazioni nella rete degli esseri viventi. In un documento del 2015 la Lancet Commission on Planetary Health rileva che le epidemie globali sono associate alla perdita di foreste primarie a seguito di operazioni di disboscamento e all’estrazione di minerali, petrolio e gas. Oggi stiamo sempre più comprendendo il legame strettissimo che esiste tra l’insorgere di nuove epidemie - come il coronavirus - e la riduzione della biodiversità del pianeta dovuta all’azione umana. È questo, come si è visto, un tema di fondo dell’ecofemminismo in cui si esprime sia una filosofia che un programma d’azione ispirati a un'immagine relazionale della vita umana che ha al suo centro i concetti di interdipendenza, equilibrio, complessità biotica e intende promuovere la difesa di valori quali la ricchezza della vita e la biodiversità. L'ecologia rappresenta pertanto una scienza fortemente critica nei confronti dell'ethos sociale esistente, non solo verso i costi della competizione, dell'aggressività e del dominio, derivanti dal modus operandi dell’economia di mercato, ma soprattutto nei confronti della visione della natura - e della donna - come di mere risorse materiali a disposizione dell’uomo. A questo riguardo mi sembra particolarmente significativo che la nuova costituzione dell’Ecuador tuteli i diritti della natura considerata una sorta di persona, con una ripresa dell’idea di Terra Madre, la Pachamama delle religioni meso-americane. Ma non è forse questo il tema di fondo dell’ecofemminismo che, nel suo richiamarsi simbolicamente all’antica visione materna della natura, intende liberare insieme la natura e la donna? Lo sguardo rivolto al futuro ci richiama al passato, ad un rapporto critico colla tradizione ma soprattutto ci consente di attivare un rapporto creativo col presente. È qui, ancora una volta, che il ruolo delle donne come forza di trasformazione culturale potrebbe rivelarsi cruciale, sia per combattere gli effetti negativi della modernizzazione, sia per immaginare un nuovo modello sociale dopo che quello maschile, ormai vecchio di secoli, è entrato in crisi.
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