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Cambiamo linguaggio, cambiamo cultura

Cambiamo linguaggio, cambiamo cultura

Non è sufficiente cacciare Clemente Russo dal Grande Fratello Vip, perché c'è chi ha approvato e mandato in onda la conversazione, incurante delle conseguenze, se non a polemiche scoppiate.

Venerdi, 07/10/2016 -
Quando parliamo di educazione al rispetto e a relazioni paritarie tra uomini e donne, quando rimarchiamo la necessità di azioni di prevenzione e contrasto alla violenza in ogni ambito e in modo deciso, pretendiamo che non ci siano "recinti" in cui sia dato libero spazio per diffondere impunemente messaggi che legittimano la violenza contro le donne.

L'ultimo esempio è andato in onda su Mediaset, precisamente su Canale 5, all'interno del Gf Vip, una produzione Endemol. Il dialogo tra Stefano Bettarini e Clemente Russo inizialmente rappresenta in pieno la solita rappresentazione machista della donna deumanizzata, oggetto sessuale, accostata anche al mondo animale. Tutto già visto nel suo squallore, peccato che lo si veicoli tranquillamente ad un vasto pubblico, prevalentemente giovane, indotto così a cementare e stratificare ulteriormente quella subcultura che giustifica la sottomissione e l'inferiorità delle donne. Poi arriva l'ulteriore esternazione di Russo che, sempre parlando con Bettarini, fabbrica un’autentica incitazione a punire le donne con la morte, in caso di tradimento: "Io al posto tuo l'avrei lasciata lì morta", riferendosi a Simona Ventura. Si è così assistito ad una manifestazione tipica del femminicidio come "soluzione" normale, anche se in un contesto televisivo.

Troviamo inaccettabile che vadano in onda questo tipo di messaggi e non è sufficiente cacciare il pugile dalla trasmissione, perché c'è chi ha approvato e mandato in onda la conversazione, incurante delle conseguenze, se non a polemiche scoppiate. C'è una sorta di autoassoluzione dei media quando trasmettono certi contenuti per attrarre pubblico. Non possiamo permettere un'assuefazione a questo tipo di meccanismi altamente pericolosi, con ricadute incontrollabili nella realtà e nelle vite delle persone. Per questo i responsabili di certe trasmissioni, così come per ogni tipo di media, devono assumersi le proprie responsabilità e pagare le conseguenze delle loro negligenze, scelte e superficialità.

Lavorare sulla cultura alla base della violenza di genere significa partire innanzitutto da un adeguamento di tutti i media e da un lavoro sul linguaggio. Nel saggio "C'è differenza" di Graziella Priulla, leggiamo: "Sebbene il linguaggio sia strumento per collegare, unire, creare relazioni, condividere, esso può anche diventare uno strumento per dividere, discriminare, escludere. Denigrare è la condizione prima per avvalorare l'inferiorità. Le offese più grevi prendono di mira l'identità sessuale: l'eccesso – o la mancanza – di virilità o di femminilità; la disponibilità sessuale della donna; la preferenza omosessuale dell'uomo, vista come espressione di incapacità, come pericolosa mancanza di potere. Quando si urla a una donna che è una troia, a un omosessuale che è un frocio o a una persona di colore che è uno sporco negro, non lo si fa per avere una risposta. Nell'offesa non c'è nessun argomento, nessuna idea. Il fine è solo ferire l'altro."

Questo genere di insulti, nelle loro mille sfumature e varietà, non sono scomparsi, sono ancora molto diffusi e tollerati, come risulta evidente anche dalla trasmissione suindicata. Sono veicoli di pregiudizi e di un immaginario violento e volto appunto a ferire, ad annientare. Né vale assimilare questo tipo di linguaggio ad uno scherzo, un gioco, una chiacchiera come un'altra, perché così si ingenera e fomenta ancora altra violenza. Quella che incide sul modo di relazionarsi, facendolo divenire reazionario e pericoloso perchè degrada gli individui, li disprezza, gli impedisce di sviluppare un sano rispetto tra le persone, intaccando la mentalità e pregiudicando un auspicabile cambiamento culturale. Queste trasmissioni e i loro contenuti legittimano modelli sessisti e violenti e non è più tollerabile che si soprassieda, asserendo che in fondo si è sempre fatto così, che per fare audience tutto va bene.

Se non cambia l'approccio e non si mettono al bando i comportamenti quali quelli evidenziati nella trasmissione in oggetto, non riusciremo a scalfire l'abitudine di alcuni uomini a considerare le donne esseri inferiori da rieducare, punire, sottomettere, ridurre al silenzio attraverso la violenza e la loro eliminazione fisica. Le parole ascoltate dalla viva voce di Clemente Russo e di Stefano Bettarini ci indignano, ma se a quelle offese ed a quelle minacce aggiungiamo le conseguenze della loro divulgazione mediatica il nostro sdegno è maggiore. Cosa dovrebbero intendere gli adolescenti che visionano spettacoli del genere, che la loro virilità necessariamente debba passare attraverso l'umiliazione, il controllo, il dominio, la forza delle loro simili, che non possano esistere relazioni paritarie, che l’unico modo di rapportarsi tra i generi sia quello improntato alla violenza ed alla sopraffazione?

Contro questo tipo di approccio culturale, fortemente diseducativo delle giovani generazioni, chiediamo l’intervento del "Comitato Applicazione Codice Media e Minori", visto che nel 2004 approvava un importante testo sulla "La rappresentazione della donna in televisione". Sono passati degli anni da allora, ma la rappresentazione della donna sui media non è molto cambiata e continua ad influire sull'equilibrato sviluppo dei minori. Eppure già in quel testo si leggeva che: “Il pericolo di una rappresentazione schematica della femminilità secondo l’equazione donna = sesso è che l’infinita potenziale ricchezza del dialogo uomo donna si trasformi in riduttivo e mercantile “do ut des”. Migliaia di coppie, per fortuna, malgrado le mille difficoltà, costruiscono ogni giorno un vissuto in cui si tende a rispettare la reciproca pienezza espressiva dell’uomo e della donna, in uno scambio che è ricchezza, seppur faticosa, per entrambi, alla ricerca della piena realizzazione della persona umana."

Poiché riteniamo che i media debbano riconsiderare il proprio ruolo, per poter lavorare in ottica di prevenzione e di corretta educazione delle nuove generazioni, chiediamo al Comitato di attivare le sue procedure di verifica sul caso in oggetto, soprattutto alla luce del disposto presente a pag. 6 del Codice di autoregolamentazione Tv e minori: "Le Imprese televisive si impegnano a non trasmettere quegli spettacoli che per impostazione o per modelli proposti possano nuocere allo sviluppo dei minori". Qualora se ne ravvisino i correlati presupposti sollecitiamo il Comitato a procedere di conseguenza, trasmettendo una sua eventuale delibera all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per le opportune adempienze del caso in esame.

Prestare maggiore attenzione al linguaggio e a come le donne vengono rappresentate non è un optional, dovrebbe essere l'abc della comunicazione. Altrimenti avremo ancora un appiattimento dell'immaginario delle donne, meri oggetti sessuali, con meccanismi deumanizzanti, che ignorano la ricchezza e la complessità dell'essere donna. Qualora le istituzioni preposte individuino i media che non vogliano far crescere e maturare i consumatori, trattandoli ancora come degli ominidi che non riescono a trattenere gli impulsi e non riescono ad articolare discorsi privi di volgarità e violenza, diventerà inevitabile comminare le probabili sanzioni. Contro il dettato imperante dell’audience e degli incassi commerciali a tutti i costi, lo Stato deve ergersi a strenuo difensore di valori educativi nuovi, gli unici in grado di opporsi a quanto invece alimenti una cultura insana e fortemente lesiva della dignità delle donne, tanto nella televisione pubblica che in quelle private.



Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi

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