Login Registrati
Autovalutazione del rischio per le donne vittime di violenza. Un inizio per rompere il silenzio

Autovalutazione del rischio per le donne vittime di violenza. Un inizio per rompere il silenzio

Il riconoscimento internazionale che le donne hanno diritto a una vita libera dalla violenza è recente

Giovedi, 23/08/2018 - Se si pensa che il delitto d’onore è stato eliminato dal codice penale italiano solo nel 1981, diamo già un significato al cappelletto iniziale di questo articolo. Intanto bisogna dire che ogni spazio giornalistico, ogni sito come http://www.differenzadonna.org/autovalutazione-del-rischio/ può aiutare le donne a prendere coscienza del loro malessere nella vita di coppia, dei soprusi e delle violenze. O il programma Daphne, o i diversi CAV nazionali possono accogliere in primo ascolto le donne maltrattate. Per questo chi scrive è cofondatrice di un comitato che contrasta la violenza di genere, in ogni sua forma e tipo. Siamo un gruppo di donne fondatrici di "Donne in fermento" di Taranto un micro gruppo che si prepara per essere pronto agli incontri provinciali e nazionali che riguardano il contrasto all'odio, la privazione arbitraria della libertà di qualsiasi essere umano, la violazione del senso di sicurezza e della dignità di ciascuno. La violenza sulle donne è un problema mondiale non ancora sufficientemente riconosciuto. Basta citare la dichiarazione per l’eliminazione della violenza sulle donne emanata dalle nazioni unite nel 1993 per avere contezza sul fenomeno: è qualunque violenza che possa produrre danni fisici, psichici, morali (violazione del sé e dei suoi principi e valori), compresi la minaccia di tali atti, sulle donne sia in pubblico che in privato. Nasce dallo squilibrio relazionale nella coppia e dal desiderio di potere e di controllo, di possesso da parte dell’uomo. La definizione di violenza sulle donne CEDAW è la seguente: La violenza contro le donne dovrà comprendere, ma non limitarsi a, quanto segue:
a) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, l'abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento; b) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all'interno della comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l'abuso sessuale, la molestia sessuale e l'intimidazione sul posto di lavoro, negli istituti educativi e altrove, il traffico delle donne e la prostituzione forzata; c) La violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o condotta dallo Stato, ovunque essa accada.
Con il termine SARA poi si intende ‘Spousal Assault Risk Assessment’, cioè la valutazione del rischio di recidiva nei casi di violenza di genere.
Si tratta di una metodica messa a punto in Canada da un gruppo di esperti per individuare se e quanto un uomo che ha agito violenza nei confronti della propria partner (moglie, fidanzata, convivente) o ex-partner è a rischio nel breve o nel lungo termine di usare nuovamente violenza. Quando ci poniamo in ascolto col nostro comitato “Donne in fermento” sono tante le donne che tolgono la maschera del “sto bene , non vi preoccupate” e cominciano a raccontare. Sono donne che hanno tante volte perdonato e si ritrovano dopo qualche mese o qualche anno al punto di partenza. Gli oggetti cari alla donna, se non è il suo stesso corpo, diventano bersaglio del maltrattante: foto del matrimonio strappate, vestiti chiusi in lenzuola quasi come in un sudario e buttati in uno scantinato, il cane preso a calci perché è fastidioso. Non è più riconoscibile l’uomo che poco tempo prima aveva chiesto scusa. Bisogna scriverle queste cose, molte donne si riconosceranno. L’obiettivo è aiutare tutte quelle donne che non hanno raggiunto un sufficiente livello di consapevolezza della loro situazione. Sono animate dalla speranza che la loro condizione migliorerà, si autocolpevolizzano, ritengono che la pazienza e il silenzio siano un buon metodo, minimizzano. Invece anni e anni di esperienza nei centri e numerose ricerche scientifiche dimostrano che dalla spirale della violenza da sole non si riesce ad uscire. Sono necessarie consapevolezza, scelte coraggiose, impegnative e figure competenti.Lo sappiamo benissimo che ci troviamo di fronte a un precipizio. Come un piccolo pinguino che vede l’oceano in profondità e ha due scelte: o tuffarsi col rischio di farsi molto male, per raggiungere gli altri piccoli e grandi pinguini, o rimanere arroccato su quello scoglio altissimo solo, con gli occhi semichiusi a morire di fame. Rischiare sulla prima è l’unica soluzione. Ogni anno, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne segna l'inizio dei "16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere". Le organizzazioni dei diritti umani, come il Centro per la leadership globale delle donne, l'UNIFEM, Women Won't Wait, Donne per il cambiamento, Soccorso delle donne e altri gruppi si uniscono per parlare contro la violenza di genere e per la promozione dei diritti e dei principi della dichiarazione. L’avvocata Lucia la Gioia di Donne in fermento dice: “Il concetto della violenza di genere viene rafforzato con la legge n. 212/2015, di recepimento della Direttiva 2012/29/UE, che ha contemplato una vasta area di vulnerabilità presunta, estensa alle vittime di taluni specifici reati (maltrattamenti in famiglia, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, ecc.) cui si affianca la vulnerabilità “atipica”, intesa come condizione di debolezza relazionale della vittima, da analizzare caso per caso in conformità ai parametri indicati nell’art. 90 quater c.p.p., tra cui si annovera: il rapporto esistente con l’autore del reato o in considerazione della sussistenza di una dipendenza affettiva, psicologica o economica della vittima nei confronti dell’autore del reato. In primo luogo, è stato introdotto un nuovo articolo 90-quater c.p.p., che fornisce una sorta di criterio generale per stabilire la sussistenza, in capo all'offeso, della condizione di particolare vulnerabilità: essa va desunta, oltre che dall'età e dall'eventuale stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato e dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione, prosegue la norma, si deve valutare se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale”. La violenza contro le donne non può che essere annoverato come odio razziale e come tale deve essere combattuto con forza e tenacia, con la solidarietà di tutte.
Elena Manigrasso

Link Esterno

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®