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Agricoltura e caporalato nell’Agro Pontino tra lavoro grigio e tradizione

Agricoltura e caporalato nell’Agro Pontino tra lavoro grigio e tradizione

La legge contro il caporalato c’è, ma non basta. Intervista a Hardeep Kaur, Flai Cgil Latina e Frosinone

Giovedi, 18/03/2021 - “Il cuore del problema dell’agricoltura nell’Agro Pontino è il lavoro grigio più che il lavoro nero, cosa che rende tutto più complicato. Le buste paga rispondono agli standard come orari e paghe, ma poi il salario realmente percepito è il “salario di piazza”, cioè circa cinque euro l’ora, e le ore giornalmente realmente lavorate non sono sei, come prevede il contratto nazionale, ma dodici”.
Hardeep Kaur, funzionaria Flai Cgil di origini indiane, racconta la realtà legata all’agricoltura di questo territorio. La denuncia riguarda anche la sicurezza, che “non è garantita né per le condizioni di lavoro né per le informazioni che non arrivano ai lavoratori, con il risultato che molti infortuni non sono dichiarati oppure sono catalogati come semplici malattie; in questo modo i lavoratori perdono i diritti collegati, spesso con conseguenze anche molto gravi se pensiamo, per esempio, ai prodotti chimici usati nelle coltivazioni”.
Nel tessuto economico della piana pontina la filiera legata all’agroalimentare e alla florivivaistica rappresenta una voce importante.
“Sono 12.000 le aziende attive e di varie dimensioni, molte gestiscono attività di import-export internazionale e sono marchi importanti. Va detto poi che qui abbiamo un’agricoltura non solo stagionale, ma che si estende per tutto l’anno: oltre alla raccolta ci sono le lavorazioni di quarta gamma e quelle in serra”.
La conversazione che abbiamo con Hardeep Kaur nell’ambito del progetto ‘Donne, Sicurezza, Legalità’ sostenuto dalla Regione Lazio volge ‘naturalmente’ sul tema del caporalato e sull’attenzione mediatica richiamata dallo sciopero dei braccianti sikh.
“Da quel 18 aprile 2016, con una piazza che chiedeva una giusta paga, qualcosa è cambiato a partire dall’approvazione della legge sul caporalato, la nr 199, che lo ha riconosciuto come reato, fino alla legge regionale nr 18/2019. È importante che sia stato affermato il principio della responsabilità del datore di lavoro, così come è utile l’introduzione della figura del Commissario per evitare la chiusura delle imprese e per mettere in regola i lavoratori. È vero che sinora sono stati applicati più gli aspetti repressivi rispetto a quelli preventivi, ma in questi ultimi tempi qualcosa si muove nella giusta direzione. Ad esempio nel Comune di Latina è stata istituita la cabina di regia con la sezione territoriale nell’Inps, uno strumento in cui tutte le parti sociali che aderiscono si impegnano, ciascuna per le diverse competenze, a garantire la sicurezza del prodotto e del lavoro”. Si tratta di un riferimento importante che i consumatori dovrebbero conoscere e valorizzare, essendo nel loro potere fare le scelte di acquisto ‘giuste’. “Le imprese che operano in modo scorretto creano un danno al tessuto economico e danneggiano quelle che rispettano le regole, poi alla base di tutto deve passare il concetto che il lavoratore non è merce, che non è uno strumento. D’altro canto c’è il tema della grande distribuzione con un forte sistema strutturato che tende a schiacciare chi produce, ma le grandi aziende, volendo, potrebbero determinare dei cambiamenti”. Insomma la questione appare di carattere prima di tutto culturale, anche perché “il fenomeno del caporalato è antico e, magari in forme diverse, è presente anche in molti paesi, pensiamo ai rider, all’edilizia o alla macellazione, solo per citarne alcuni”. Ed è una realtà che prolifera anche perché offre tanti servizi “dal trasporto sul luogo di lavoro alla richiesta di documenti all’alloggio; il tema è quello della autonomia e dell’emancipazione della persona”. Soffermarsi sul multiforme potere ricattatorio solleva una certa inquietudine, che aumenta pensando alle specifiche vulnerabilità femminili che si aggiungono a quelle descritte. Hardeep ben conosce le origini e le tradizioni del territorio in cui è cresciuta con la sua famiglia, arrivata dall’India a fine anni Settanta. “Le nostre nonne.. anche se mia nonna sta in India io le sento come fossero le mie nonne …. scendevano dai monti Lepini e facevano le stagioni, poi negli anni sono state sostituite dalle migranti di varie provenienze: a seconda del periodo arrivavano rumene o albanesi. Oggi si registra un ritorno all’agricoltura delle donne italiane, spesso impiegate nella quarta gamma, dove imbustano o dove sono addette al lavaggio. Le molestie sessuali sono un ricatto che si aggiunge allo sfruttamento, ma come Flai non riceviamo segnalazioni o denunce ed è chiaro che se è difficile per una di noi denunciare una violenza sessuale, lo è ancora di più per donne che non hanno la forza di arrivare fino in fondo al percorso, sostenendo anche la condanna del clan di appartenenza. Va anche detto che le donne di molte comunità non sono qui sole; spesso arrivano per il ricongiungimento familiare e lavorano nelle aziende in cui ci sono anche altri componenti della loro famiglia, questo diventa nei fatti un fattore di protezione”. La considerazione conclusiva di Hadeep Kaur, al termine dell’incontro, è anche una sorta di appello: “le norme ora ci sono, non abbiamo alibi e ciascuno deve fare la propria parte affinché la piaga dello sfruttamento nelle campagne sia debellata. Dovremmo avere cura, tutti e tutte, di mangiare non solo prodotti buoni, ma anche prodotti in modo etico”.

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