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PAOLA, PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ / Ritorno a Lampedusa

PAOLA, PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ / Ritorno a Lampedusa

Ritorno a Lampedusa, la mamma e la bambina: amore, solidarietà e umanità che hanno “l’insolenza” di mostrarsi costringendo a pensare

Martedi, 17/07/2018 - PAOLA, PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ / Ritorno a Lampedusa: la mamma e la bambina, amore e solidarietà, umanità che hanno “l’insolenza” di mostrarsi costringendo a pensare.
La battaglia politica che questo nostro Governo conduce sugli immigrati e il loro sbarco o meglio o non sbarco sulle nostre coste, nei nostri porti, racconta di navi di ogni tipo che vagano pieni di disperati nel Mediterraneo, di ONG divenute tutte inaffidabili, di riunioni, meeting, incontri, lettere e telefonate tra l’Italia, l’Europa e i singoli Stati. Il tutto per affermare “l’orgoglio sovranista“ dell’Italia che non si fa piegare da un'Europa che, minimo - dice chi governa - va cambiata.
Ma sembra sottointendersi che se,  come entità politica, si sciogliesse sarebbe meglio. Magari collegandosi anche all’incontro storico tra Russia e USA e guardando con interesse ai progetti di Trump e Putin che,  nella loro indubbia differenza conflittuale, sembrano alleati su di un punto: indebolire l’Europa. Per essere buoni !
Ed è in questo scenario che queste masse di emigrati diventano pacchi, cose, masse colorate e disperate, in buono stato o malate, identificate di volta in volta come numeri e più o meno per grandi paesi, o supposte fasce d’età   o di genere a seconda della barca o nave contenitore.
E’ in questa, soggettiva, pennellata di riferimento che ogni tanto qualcuno di questi esseri indistinti ha 'l’insolenza'  di mostrarsi, di uscire dal mucchio e di costringere a vedere che sono non dieci o quattrocento, ma uno più uno esseri umani ognuno distinto, col proprio fardello di vita di storia, di ragioni e di speranze. Ci ricordano, come ci hanno insegnato alle scuole elementari, che le somme non si fanno con elementi diversi: una mela non si somma con una pera, casomai un frutto con un frutto!
Ogni tanto questo accade al di là di ogni programmazione e costringe a scontrarsi con l’umano, quello più grande e più coinvolgente che chiama alla responsabilità.
Siamo a Lampedusa, l’isola simbolo da anni dell’emigrazione. Quel fazzoletto di terra chiamato, un tempo con orgoglio, porta d’Europa, dove il rapporto con gli emigrati e il loro arrivo ha una storia importante e di grande accoglienza. E’ lì che, di nuovo, si impone uno sguardo doloroso ma anche di speranza sull’umanità che non si arrende.
Una bimba di 4 anni, forse eritrea, smagrita e sfinita, portata al pronto soccorso dell’isola implora la dottoressa che l’accoglie dicendo: “aiuti la mia mamma“, mamma che, come ci raccontano, qualcuno testimonia che la bambina ha cercato di “assistere” già nel viaggio. Mamma che sempre racconta l’informazione, a molte voci, oramai in uno stato di disidratazione e sfinimento totale. L’unica cosa che dice prima di accasciarsi è chiedere cibo per la sua bambina, che non mangia e beve da giorni. Un amore solidale, un sentimento che ci costringe a non abbassare gli occhi e a guardare a quelle persone cercando di ascoltare le singole vite per poter leggere il tema emigranti davvero in un ponte tra politiche e umanità.
Questa storia breve e drammaticamente sintetica si affianca ad altre che, oltre che a Lampedusa dove ad accoglierle vi è l’oramai famoso medico Pietro Bartolo, sono emerse dolorosissime negli arrivi a Pozzallo dove il sindaco Roberto Ammatuna è anche medico e che con questa sua doppia autorevole identità ha potuto accogliere e organizzare risposte importanti, fino alla riunificazione di una madre con i suoi bambini e arrivata a Modica.
Come altre volte, sono queste persone che hanno raccontato poi l’orrore che hanno subito nel periodo di più di un anno passato in Libia in veri campi di concentramento con cibo quasi a livello zero, botte, mancanza totale di servizi, violenze senza pari per le donne e leggendo un vero sadomasochismo verso gli umani.
La storia della mamma e della bambina,  in questo contesto, divengono come i bambini dalle magliette rosse, come tante altre storie simboliche, esemplificative della realtà. Divengono quel campanello d’allarme che non smette di suonare per farci ricordare che dietro le masse di emigranti ci sono vite piene, una diversa dall’altra, ognuna con domande di cui farsi carico a cui rispondere politicamente e umanamente. Le persone sono tutte una ricchezza che può essere attivata solo se la conosci.
Tornando alla mamma e alla bambina vorremmo che “l’informazione” nella sua potenza decida di seguirne la vicenda e raccontarcela. Innanzitutto se loro riusciranno a farcela a superare uno stato fisico raccontato all’estremo e poi dove andranno, come si chiamano e, se non fosse troppo, le ragioni alla base del loro viaggio della fuga dal loro paese.
In questo terribile gioco, fra tante e tanti esseri indistinti e una o due individui di cui emerge la vicenda, mi sembra si debbano curare le storie che impariamo perché intanto aiutano a capire altre analoghe o simili, aiutano a “incuriosirsi” nel senso più nobile alla vita degli altri, come è avvenuto per i bambini della grotta thailandese, e a fuggire ancora una volta dal quel proverbio elisir del sapere popolare che ci ricorda che "occhio non vede e cuore non duole", a cui vorrei aggiungerne un altro "la ragione che rimane sopita nella propria comoda assenza".
Storie che aiutano a sapere che qualche vita diviene centro di interesse, affetto speciale, e per questo può farcela uscendo dall’indifferenza e riprendere la speranza. E che forse è possibile un futuro, quello che ha spinto al terrificante viaggio intrapreso.
Non possiamo arrenderci a una politica che prescinda dall’umano concepito come intralcio alle strategie progettate.
Penso spesso al dramma di tutti ma mi soffermo in modo particolare alle donne travolte nella loro persona, allo sbando fra uomini , talvolta incinta per violenze subite o strette alle loro creature da proteggere o angosciate dalle mestruazioni che non sanno come affrontare in quella indicibile carneficina umana che non prevede il rispetto di nessuna dignità o separatezza o cura.
E nonostante tutto questo, come in una favola, la nostra bimba e la sua mamma ci hanno ricordato come cura e affetto, l’umanità insomma possano vibrare, e speriamo sia ancora collettivamente possibile sempre e comunque.
Di loro prendiamoci cura.
Paola ortensi 17 luglio 2018

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